Il Teatro degli orrori, dai miserabili agli eroi dei nostri tempi

di Benedetto Marchese

La carica e la forza del Teatro Degli Orrori sono già espresse chiaramente ancora prima dell’inizio del loro concerto del Baraonda, con l’impianto che salta per il troppo carico facendo vivere in totale black out l’attesa dei tantissimi che in coda aspettano di entrare per assistere allo show. L’incertezza si scioglie solo quando lo stesso Pierpaolo Capovilla esce a tranquillizzare tutti: “Ci siamo”. La curiosità è tanta perché l’evento promosso dal Tago Mago è ancora una volta di altissimo profilo, con una delle band più in vista di questi ultimi mesi dopo la grande esposizione mediatica dell’album “A sangue freddo”. Un successo di critica e pubblico che ha però mantenuto intatti lo spirito e l’attitudine indipendenti della band. A confermarlo è l’inizio affidato alla ruvida storia d’amore di “Due”, parole recitate e musica potente che scaldano le giovani prime file che si accalcano verso la transenna incrociando sguardi e respiri con l’ex One Dimensional Man Capovilla. Il carismatico cantante poco dopo presenta così E’ colpa mia: “Canzone triste, malinconica, che racconta il fallimento della mia generazione, quella del ’68 che mai si sarebbe aspettata di vivere in un paese così brutto, ignorante ed egoista”. L’Italia indifferente, arida, di chi non prende mai posizioni, la generazione che dice “Figlio mio un giorno tutto questo sarà tuo”. Loro, i possibili figli assiepati lì davanti ascoltano, ripetono, seguono parole e musica densa, aggressiva, riflettono e si scatenano quando l’attenzione passa sulla vicenda dell’intellettuale nigeriano Ken Saro Wiwa. La storia già raccontata da Robero Saviano e ripresa dal Teatro degli Orrori nel brano che ha titolato l’ultimo disco e segnato la svolta per il gruppo. La tragica vicenda del poeta africano che si oppose allo sfruttamento del delta del Niger diventa il filo conduttore della travolgente “A sangue freddo”, il pogo si fa movimento unico di un pubblico che oltre al forte impatto sonoro acquisisce anche il messaggio impegnato del gruppo che può proporre le parole di “All’amato me stesso” di Majakovskij nel riadattamento di Carmelo Bene trovando la partecipe risposta dei giovani interlocutori delle primissime file. Lì dove Capovilla si spinge, si tuffa a più riprese passando da una mano all’altra; uno stage diving che contribuisce a creare un legame unico fatto di adrenalina e sudore fra la gente e la band. In un contesto musicale rabbioso e stilisticamente perfetto, ad impressionare è la forza dei testi e delle tematiche, la scelta delle parole mai banali; come quelle che introducono Mai dire mai: “Abbiamo bisogno di una società civile, viva, vera –sottolinea il mistico frontman- non possiamo più sopportare questi soprusi: Cucchi, Aldrovandi, chi altro ancora? È arrivato il momento di scandalizzarci, di dire basta. La politica è troppo importante per essere lasciata in mano ai politici, ci vuole una società civile. Noi siamo la società civile”. Parole dure, che fanno riflettere, che aggiungono contenuti ed impegno ad una scaletta che esplode rabbiosa con “Il terzo mondo” e torna alla ballata “La canzone di Tom”, passando per l’intesa “Compagna Teresa” dedicata alle donne della Resistenza, prima di un finale che chiude un concerto infuocato e mai banale. Vero, intenso e diretto il Teatro degli orrori colpisce ed entusiasma lasciando senza fiato.

2 commenti

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2 risposte a “Il Teatro degli orrori, dai miserabili agli eroi dei nostri tempi

  1. claudio

    Io ero presente in baraonda volevo sapere gli ultimi pezzi della scaletta quali erano? la musica mi e’ rimasta molto impressa stupendi. saluti claudio

    • Benedetto Marchese

      Dalla scaletta che ho io risultano come ultimi: Alt, Mai dire mai, la canzone di Tom, vita mia, Dio Mio, E lei venne, Teresa e L’impero delle tenebre.
      Saluti

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