Benedetto Marchese (@dettobene)
Non avendo avuto il tempo necessario per organizzare una vacanza vera, ho deciso di spendere questi pochi giorni in cui sono riuscito a spegnere il computer sfruttando una delle ultime occasioni per passare un po’ di tempo al mare, grazie al clima molto estivo di questi primi giorni di settembre. Qualche bagno, un po’ d’aria buona e nessuna fretta di leggere mail o approfondire notizie, viaggiando sui treni regionali per recuperare un po’ di serenità, o meglio, ricordi di periodi più tranquilli, trascorrendo qualche ora fra Vernazza e Monterosso, i miei luoghi del cuore.
Per una quindicina d’anni infatti il malandato Gigante che sovrasta gli scogli di Fegina, mi ha visto crescere estate dopo estate. Ore ed ore trascorse ogni mese di luglio sulla stessa spiaggia oppure in acqua con maschera e fiocina a caccia di polpi. Giornate che finivano dopo le 20.00 quando con gli ombrelloni ormai chiusi e le sdraio vuote scendeva in spiaggia Gianni Brera. Accompagnato e sorretto dai figli arrivava fino a pochi metri dalla riva, toglieva l’accappatoio e s’immergeva lentamente in acqua. Il più delle volte eravamo gli ultimi a fare il bagno e dopo aver gironzolato ancora un po’ tornavo a casa per la cena dicendo “c’era anche quel signore anziano, quello con l’accappatoio”.
Ad eccezione di qualche tedesco era soprattutto la Monterosso delle famiglie di Spezia, Genova, Parma o Milano – alcune incontrate nuovamente con enorme piacere anche in questi giorni – scarseggiava l’acqua e il fenomeno ‘Cinque Terre’ doveva ancora ancora diventare globale. Quella odierna è invece una località sempre unica nel suo fascino ma molto più curata, accogliente (nonostante il prezzo dei posti letto) e completamente votata ad un flusso di turisti in larga parte stranieri. Fa un certo effetto arrivare in treno con americani, australiani, giapponesi e russi, vedere il loro stupore quando la gallerie si aprono su scorci fra i più belli in assoluto, oppure sentirli dialogare con commercianti e bagnini dal buon inglese con accento marcatamente monterossino.
Un incessante via vai su spiagge e strade che ha incrociato i miei ricordi sovrapposti nel tempo uno dopo l’altro. Il tratto di strada verso casa dopo aver superato la salita che porta al Semaforo sul Mesco; le barche dei pescatori che spesso giungevano a riva con pesci lama, verdesche e orate; il carretto con le acciughe e i totani o l’ex ristorante “Il Gigante” (dove ho imparato a mangiare il pesce) e Villa Montale. Poi, poco distante, il cinema all’aperto con le sue scomodissime poltroncine, “Il Fornaio” con le sue focacce e il chiosco dei gelati, tappa fissa delle passeggiate serali. Più avanti la stazione dove mio papà mi portava a vedere i treni e il lungomare che collega la parte ‘nuova’ cresciuta negli anni Cinquanta al paese vecchio. Un panorama unico, dilatato dalla Palmaria a Punta Mesco, con gli altri paesi da un lato e dall’altro le pareti scoscese che delimitano il confine delle Cinque Terre. Una vista ancora più speciale se apprezzata dalla statua di San Francesco, poco sotto il convento dei Cappuccini con la torre Aurora in primo piano.
Un punto d’osservazione che lascia senza fiato (come la scalinata per raggiungerlo) aprendo la vista sul centro storico, profondamente ferito dall’alluvione del 2011 ma restituito ancora più bello dopo la ricostruzione. Oltre il ponte della stazione, dove si faceva la festa delle acciughe, andavo la mattina con i nonni a caccia di giocattoli quando venivano a trovarci. Ora nelle stradine attorno alla chiesa di San Giovanni Battista domina un brusio che accomuna tutte le sfumature dell’inglese e perfino i gattoni che stazionano davanti ai ristoranti si mettono in posa per scatti che finiranno in ogni parte del mondo.
Per quanto i turisti in tenuta da trekking l’abbiano ormai inserito le Cinque Terre fra le mete imprescindibili dei tour in Italia, con Napoli, Roma e Firenze, Monterosso ha comunque conservato il suo fascino innato e l’atmosfera suggestiva di alcuni dei suoi luoghi speciali. Strade, salite o panorami scoperti di anno in anno e a cui sono molto legato. Ma in questi giorni finalmente estivi non potevo fare a meno di una tappa a Vernazza, altra perla delle Cinque Terre che mi ha visto sgambettare fin da quando ero un bimbetto col caschetto.
Qui non tornavo da diversi anni, da prima dell’alluvione che aveva distrutto senza pietà via Roma e Piazza Marconi, sommerse da fango e detriti ora ricostruite meravigliosamente. Tanto che per chi arriva da fuori l’unica testimonianza di quel tragico ottobre è un pannello fotografico sotto la stazione, il cui intero reportage realizzato da Andrea Barletta si può trovare qui. Ogni giorno, soprattutto in questo periodo, lo vedono le centinaia di persone che scendono dal marciapiede. Si fermano, lo osservano, commentano e poi s’incamminano lungo la discesa che porta nella piazzetta. E’ un flusso continuo, che crea ingorghi davanti a gelaterie e focaccerie disperdendosi solo a pochi metri dal mare, con la chiesa di Santa Margherita da una parte e la passerella verso gli imbarchi e la scogliera dall’altra, dando al contesto una particolare dimensione internazionale.
Lì sulla sinistra c’è ancora il ristorante “Il Gambero Rosso”. Un tempo, con la precedente gestione della famiglia di Agostino, offriva i migliori muscoli ripieni in circolazione, le trofie al pesto, il ‘Tian Vernazza’, lo strepitoso latte fritto e il ‘dolce Andrea’. Nel piatti sotto gli ombrelloni intravedo cose trascurabili tirando avanti di fretta verso gli ultimi metri del porticciolo per godermi Monterosso in lontananza e la torretta del Castello Doria che domina tutto il paese. Decido di non salire fino lassù per tenermi il ricordo dell’ultima visita, ma anche per recuperare il tempo per un bagno che forse qui non ho mai fatto.
Il luogo perfetto è la ‘Spiaggia della tagliata’, mai vista prima perché riscoperta proprio dopo i fatti dell’ottobre 2011. Ci si arriva passando sotto un costone di pietra, una sorta di grotta che porta dietro Vernazza dove si apre uno scenario davvero affascinante. Dal caos di turisti della via principale si passa ad una distesa di sabbia e sassi stranamente non affollata come ci si potrebbe aspettare e raccolta in un’insenatura protetta di roccia e agavi. Mentre il sole di settembre asciuga il sale sulla pelle mi guardo intorno anch’io come gli altri, assaporando la quiete quasi irreale che si respira appena varcato il tunnel sotto le case. Mi godo anche la piacevole novità in un posto di cui credevo di conoscere ogni angolo da una ventina d’anni.
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Ripenso con un po’ di nostalgia ad un giocattolo scovato dentro una barca rovesciata nella piazzetta, alla curiosità nell’osservare i pescatori che preparavano i palamiti e ai viaggi notturni sulla ‘Littorina’ verso Monterosso attesa aggrappato alle gambe dei miei su un binario ventosissimo. Affollato e austero, l’ultimo treno della notte che percorreva gli stessi binari in senso opposto al regionale che fermata dopo fermata torna verso Sarzana.