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L’attesa del tramonto

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di @dettobene

Mentre me ne vado verso i sei gradi del tardo pomeriggio il sole sta scendendo veloce verso la linea dell’orizzonte, quasi a metà fra il Tino da una parte e la Corsica dall’altra. La linea del mare cambia tonalità rapidamente, meritandosi foto, stories e sguardi sognanti, lasciando ancora qualche minuto a chi arriva in ritardo dalla stradina che riporta al paese. Dietro di me lascio almeno una ventina di persone: il signore educato con il teleobiettivo, il tizio che fra una birra e un pezzo di focaccia mi ha impallato il time-lapse, la signora esperta di erbe e piante aromatiche con il marito silenzioso e la nipote che ha riempito la memoria del cellulare. Rimangono anche la comitiva emiliana, la coppietta di ragazzi nell’angolo e quella lombarda – seduta poco prima vicino a me – con lui vessato dal datore di lavoro la vigilia dell’ultimo dell’anno.

Mi allontano probabilmente nel momento migliore ma posso essere soddisfatto. Dopo un piatto di ravioli e una bella chiacchierata ho scelto di salire verso Montemarcello anziché costeggiare il fiume fino a Bocca di Magra. Mi sono goduto la vista da Livorno a Tellaro, le campane e i gabbiani in sottofondo, i minuti senza voci e il tepore del sole da altra stagione, ho dato un’occhiata alla spiaggia di Punta Corvo, e soprattutto mi sono spinto avanti nel “Territorio Comanche” di Arturo Pérez-Reverte. Ho riguardato in lontananza la Capraia e ho pensato al primo progetto per il 2020. Niente male per un pomeriggio di fine decennio.

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Un trolley a Brick Lane

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di @dettobene

– Ohi quanto vuoi per quel trolley?

– 25

– No, 25 è troppo! Massimo 20

– No no amico, 25. E’ l’ultimo rimasto, lo vendevo a 30. E’ un affare, e poi lo puoi mettere anche in stiva.

– Ma non mi serve metterlo in stiva, lo imbarchiamo. Venti è un buon prezzo

.

– Ragazzi questo tizio è caro, io ho comprato i guanti per mia moglie ma vi conviene andare verso Liverpool Street, c’è un mercato dove trovate il trolley a venti sterline. L’ho preso anche io uguale a questo. Lui è caro.

– Bene grazie! Ora guardiamo là

– Ah ma siete italiani?

– Si

– Sentite come parlo bene italiano? Ho vissuto a Catania per nove anni, mio figlio è nato lì e ora fa l’avvocato. Poi siamo venuti qui.

– E qui come si trova?

– Bene! Vedete sono venuto a comprare i guanti per mia moglie, ha il salone di bellezza più bello di Tower Bridge, arriva la gente anche dall’America per andare da lei, cercatelo su Internet.

– Lo faremo, grazie!

– Buona giornata, e ricordate di passare da Liverpool Street!

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Last train to Monterosso (e Vernazza)

Monterosso

Benedetto Marchese (@dettobene)

Non avendo avuto il tempo necessario per organizzare una vacanza vera, ho deciso di spendere questi pochi giorni in cui sono riuscito a spegnere il computer sfruttando una delle ultime occasioni per passare un po’ di tempo al mare, grazie al clima molto estivo di questi primi giorni di settembre. Qualche bagno, un po’ d’aria buona e nessuna fretta di leggere mail o approfondire notizie, viaggiando sui treni regionali per recuperare un po’ di serenità, o meglio, ricordi di periodi più tranquilli, trascorrendo qualche ora fra Vernazza e Monterosso, i miei luoghi del cuore.

Monterosso

Per una quindicina d’anni infatti il malandato Gigante che sovrasta gli scogli di Fegina, mi ha visto crescere estate dopo estate. Ore ed ore trascorse ogni mese di luglio sulla stessa spiaggia oppure in acqua con maschera e fiocina a caccia di polpi. Giornate che finivano dopo le 20.00 quando con gli ombrelloni ormai chiusi e le sdraio vuote scendeva in spiaggia Gianni Brera. Accompagnato e sorretto dai figli arrivava fino a pochi metri dalla riva, toglieva l’accappatoio e s’immergeva lentamente in acqua. Il più delle volte eravamo gli ultimi a fare il bagno e dopo aver gironzolato ancora un po’ tornavo a casa per la cena dicendo “c’era anche quel signore anziano, quello con l’accappatoio”.

Monterosso
Ad eccezione di qualche tedesco era soprattutto la Monterosso delle famiglie di Spezia, Genova, Parma o Milano – alcune incontrate nuovamente con enorme piacere anche in questi giorni – scarseggiava l’acqua e il fenomeno ‘Cinque Terre’ doveva ancora ancora diventare globale. Quella odierna è invece una località sempre unica nel suo fascino ma molto più curata, accogliente (nonostante il prezzo dei posti letto) e completamente votata ad un flusso di turisti in larga parte stranieri. Fa un certo effetto arrivare in treno con americani, australiani, giapponesi e russi, vedere il loro stupore quando la gallerie si aprono su scorci fra i più belli in assoluto, oppure sentirli dialogare con commercianti e bagnini dal buon inglese con accento marcatamente monterossino.

 Monterosso

Un incessante via vai su spiagge e strade che ha incrociato i miei ricordi sovrapposti nel tempo uno dopo l’altro. Il tratto di strada verso casa dopo aver superato la salita che porta al Semaforo sul Mesco; le barche dei pescatori che spesso giungevano a riva con pesci lama, verdesche e orate; il carretto con le acciughe e i totani o l’ex ristorante “Il Gigante” (dove ho imparato a mangiare il pesce) e Villa Montale. Poi, poco distante, il cinema all’aperto con le sue scomodissime poltroncine, “Il Fornaio” con le sue focacce e il chiosco dei gelati, tappa fissa delle passeggiate serali. Più avanti la stazione dove mio papà mi portava a vedere i treni e il lungomare che collega la parte ‘nuova’ cresciuta negli anni Cinquanta al paese vecchio. Un panorama unico, dilatato dalla Palmaria a Punta Mesco, con gli altri paesi da un lato e dall’altro le pareti scoscese che delimitano il confine delle Cinque Terre. Una vista ancora più speciale se apprezzata dalla statua di San Francesco, poco sotto il convento dei Cappuccini con la torre Aurora in primo piano.

Monterosso

Un punto d’osservazione che lascia senza fiato (come la scalinata per raggiungerlo) aprendo la vista sul centro storico, profondamente ferito dall’alluvione del 2011 ma restituito ancora più bello dopo la ricostruzione. Oltre il ponte della stazione, dove si faceva la festa delle acciughe, andavo la mattina con i nonni a caccia di giocattoli quando venivano a trovarci. Ora nelle stradine attorno alla chiesa di San Giovanni Battista domina un brusio che accomuna tutte le sfumature dell’inglese e perfino i gattoni che stazionano davanti ai ristoranti si mettono in posa per scatti che finiranno in ogni parte del mondo.

Monterosso

Per quanto i turisti in tenuta da trekking l’abbiano ormai inserito le Cinque Terre fra le mete imprescindibili dei tour in Italia, con Napoli, Roma e Firenze, Monterosso ha comunque conservato il suo fascino innato e l’atmosfera suggestiva di alcuni dei suoi luoghi speciali. Strade, salite o panorami scoperti di anno in anno e a cui sono molto legato. Ma in questi giorni finalmente estivi non potevo fare a meno di una tappa a Vernazza, altra perla delle Cinque Terre che mi ha visto sgambettare fin da quando ero un bimbetto col caschetto.

Vernazza

Qui non tornavo da diversi anni, da prima dell’alluvione che aveva distrutto senza pietà via Roma e Piazza Marconi, sommerse da fango e detriti ora ricostruite meravigliosamente. Tanto che per chi arriva da fuori l’unica testimonianza di quel tragico ottobre è un pannello fotografico sotto la stazione, il cui intero reportage realizzato da Andrea Barletta si può trovare qui. Ogni giorno, soprattutto in questo periodo, lo vedono le centinaia di persone che scendono dal marciapiede. Si fermano, lo osservano, commentano e poi s’incamminano lungo la discesa che porta nella piazzetta. E’ un flusso continuo, che crea ingorghi davanti a gelaterie e focaccerie disperdendosi solo a pochi metri dal mare, con la chiesa di Santa Margherita da una parte e la passerella verso gli imbarchi e la scogliera dall’altra, dando al contesto una particolare dimensione internazionale.

Vernazza

Lì sulla sinistra c’è ancora il ristorante “Il Gambero Rosso”. Un tempo, con la precedente gestione della famiglia di Agostino, offriva i migliori muscoli ripieni in circolazione, le trofie al pesto, il ‘Tian Vernazza’, lo strepitoso latte fritto e il ‘dolce Andrea’. Nel piatti sotto gli ombrelloni intravedo cose trascurabili tirando avanti di fretta verso gli ultimi metri del porticciolo per godermi Monterosso in lontananza e la torretta del Castello Doria che domina tutto il paese. Decido di non salire fino lassù per tenermi il ricordo dell’ultima visita, ma anche per recuperare il tempo per un bagno che forse qui non ho mai fatto.

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Il luogo perfetto è la ‘Spiaggia della tagliata’, mai vista prima perché riscoperta proprio dopo i fatti dell’ottobre 2011. Ci si arriva passando sotto un costone di pietra, una sorta di grotta che porta dietro Vernazza dove si apre uno scenario davvero affascinante. Dal caos di turisti della via principale si passa ad una distesa di sabbia e sassi stranamente non affollata come ci si potrebbe aspettare e raccolta in un’insenatura protetta di roccia e agavi. Mentre il sole di settembre asciuga il sale sulla pelle mi guardo intorno anch’io come gli altri, assaporando la quiete quasi irreale che si respira appena varcato il tunnel sotto le case. Mi godo anche la piacevole novità in un posto di cui credevo di conoscere ogni angolo da una ventina d’anni.

.Vernazza

Ripenso con un po’ di nostalgia ad un giocattolo scovato dentro una barca rovesciata nella piazzetta, alla curiosità nell’osservare i pescatori che preparavano i palamiti e ai viaggi notturni sulla ‘Littorina’ verso Monterosso attesa aggrappato alle gambe dei miei su un binario ventosissimo. Affollato e austero, l’ultimo treno della notte che percorreva gli stessi binari in senso opposto al regionale che fermata dopo fermata torna verso Sarzana.

Vernazza

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Via Mascardi, i Nirvana e il Partigiano “Joe il Rosso”

20140422-005704.jpg (@dettobene)

Passeggiare in via Mascardi ha sempre il suo fascino. Ti capita di salutare i bottegai, gli amici che vendono ostriche e buon vino a ritmo di ska e rocksteady oppure puoi soffermarti nelle bancarelle dell’antiquariato durante ‘La Soffitta nella Strada’, ad agosto o durante il periodo pasquale come in questi giorni. In questa strada nel centro storico di Sarzana ormai una ventina d’anni fa c’era anche ‘D.O.C.” un meraviglioso negozio di libri, vinili e cd gestito da una tipa che all’epoca vendeva i dischi più interessanti di tutta Sarzana. Grazie a lei ho scoperto i Nirvana e i Temple of The Dog. Fra le tante cose avevo comprato anche un mini cd dei Beatles molto particolare, convinto che in futuro mi avrebbe fruttato parecchi soldi (in realtà dovrei ancora averlo da qualche parte).

Passo spesso da via Mascardi ma solo ieri, 21 aprile e giorno particolare per me per altri motivi, alzando la testa verso una facciata ho notato questa lapide dedicata a Gino Lombardi e Piero Consani, partigiani uccisi a pochi metri di distanza ma in giorni diversi. Esattamente 70 anni fa Lombardi, nato a Querceta di Seravezza nel 1920, aveva infatti perso la vita in un conflitto a fuoco con i fascisti all’interno di questo palazzo, mentre il suo grande amico Consani venne catturato, torturato e fucilato il 4 maggio, sempre del 1944, alla Cittadella.

Con il nome di battaglia “Joe il Rosso”, preso da un personaggio avventuroso di un film americano per via del colore acceso dei capelli, dopo l’armistizio Lombardi aveva dato vita alla prima formazione partigiana della Versilia con il nome di “Cacciatori delle Apuane”.

Il 17 aprile del 1944 – si legge sul sito dell’Anpi – i “Cacciatori” furono attaccati, sul Monte Gabberi, da centinaia di militi della Guardia nazionale repubblicana e della X-Mas. Nonostante fossero molto inferiori di numero e di armamento, i partigiani di “Joe il Rosso” riuscirono a sganciarsi infliggendo gravi perdite ai fascisti. Nei combattimenti cadde il suo aiutante, il partigiano sardo Luigi Mulargia (sul ferito i fascisti infierirono mozzandogli le orecchie e uccidendolo a calci). Dopo questo scontro, Lombardi pensò di spostare i suoi partigiani in posizione più favorevole nell’Alta Lunigiana e, con Piero Consoni e Ottorino Balestri, si diresse verso Equi Terme (Massa Carrara), per un sopralluogo. Fermati dai militi fascisti a Sarzana, i tre ingaggiarono combattimento, ma “Joe il Rosso”, dopo aver abbattuto due fascisti, cadde colpito a morte. Si salvò Balestri; Consoni, gravemente ferito, venne fucilato il 4 maggio. Le formazioni partigiane operanti sui monti della Versilia, si batterono, sino alla Liberazione, col nome di Brigata d’assalto “Gino Lombardi”. Una lapide lo ricorda oggi a Farnocchia di Stazzema (Luca), dove gli è stata intitolata una strada”. Solo nel 2005 invece Sarzana, in collaborazione con il Comune di Seravezza e l’Anpi hanno ricordato questo episodio, fra i tantissimi che hanno caratterizzato la storia del nostro territorio.

La sua storia e quella di Consani sono state ricostruite anche da Giovanni Cipollini e Pino Meneghini nel libro “Dalla Versilia a Sarzana” (qui il Pdf) che ripercorre la breve ma intensa esistenza. “Gino Lombardi – si legge nell’introduzione – è un personaggio di primissimo piano della Resistenza versiliese non solo per il ruolo svolto nella lotta partigiana ma anche per il valore simbolico assunto dopo la sua morte. Dopo aver dato un importante contributo alla creazione della rete organizzativa clandestina costituì la prima banda partigiana dimostrando di possedere doti innate di comandante: audacia e prudenza secondo le circostanze, carisma, intuito e decisione nelle scelte, anche quelle più difficili”. La narrazione parte dalle loro origini di antifascisti e arriva fino al 2005 e all’istituzione di questa lapide che ricorda a chiunque passi per via Mascardi il loro sacrificio e quello di tutti gli altri giovani della Val di Magra durante la Resistenza.

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Il rito della Marocca

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(@dettobene)

Il primo taglio è quello dell’attesa finita, della fragranza e delle diverse tonalità di marrone. Il secondo è più delicato e preciso, sottile, accurato. La terza fetta invece è più consistente, è quella che accoglie una fetta di salume, una spalmata di gorgonzola oppure un cucchiaino di marmellata, possibilmente di arance. È l’inizio di un rituale goloso e quasi automatico, che va avanti fetta dopo fetta fino quando una notifica sul cellulare o una voce estranea interrompono il momento idilliaco. Mi è capitato anche due giorni fa: solo in cucina con la mia Marocca di Casola appena tolta dal sacchetto di carta, un coltello, salsiccia e prosciutto crudo; quando è squillato il telefono ero già quasi arrivato a metà. Un pranzo frugale ma dal tempo dilatato grazie a questo prodotto speciale che nel secondo dopoguerra, quando il grano scarseggiava, era diventato il maggior sostentamento per la gente della Lunigiana e del piccolo comune in provincia di Massa-Carrara, medaglia d’oro al merito civile durante la Resistenza.
Le inconfondibili pagnotte rotonde infatti sono fatte sostanzialmente con farina di castagne, una piccola quantità di farina di grano, patate, olio e lievito madre. Un pane da sempre legato alle tradizioni gastronomiche popolari per la grande diffusione sul territorio dei suoi ingredienti e per la possibilità di poterlo mangiare anche dopo molti giorni. Oggi, grazie all’intuizione e al lavoro di Fabio Bertolucci, la Marocca di Casola è un presidio Slow Food e un prodotto che si può trovare facilmente anche al di fuori della Lunigiana. Dopo aver rilevato un forno nella località di Canoàra Fabio (qui il suo blog) ha riadattato ai ritmi più attuali un mestiere antico che vive ogni giorno distribuendo personalmente le sue marocche in attesa di perfezionare una distribuzione capillare. Il sabato mattina è possibile trovarlo al ‘Mercato della Terra’ di Sarzana, dove incontra Davide, giovane ristoratore che usa lo speciale pane per alcune portate nel suo locale ‘I Maestri’. Non solo, è anche il mio pusher di pagnotte, che mi fa trovare  accuratamente incartate e al riparo da sguardi bramosi. Al resto penso io.

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Una domenica senza pallone

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(@dettobene)

Non mettevo piede a San Terenzo da parecchio tempo, forse dal memorabile dj set dei Sud Sound System in spiaggia. Ho controllato: era il 2008, che vergogna. Oggi invece ho rinunciato al calcio e alla serata a Marassi preferendo un’uscita in uno dei tanti luoghi meravigliosi di questa provincia. Ho scelto gli amici, il mare e un posto a ristorante per completare il tutto. “Stralunà” ha una bella sala interna e i tavoli sul lungomare, non è il miglior locale in circolazione in cui mangiare del pesce ma è comunque perfetto per un pranzo in relax e chiacchiere al sole. La cosa più difficile è arrivarci visto che se non hai un pass residenti San Terenzo e soprattutto Lerici diventano quasi inaccessibili. Merito/colpa della famigerata Ztl che in questi giorni fa discutere, e non poco, cittadini e amministrazione. Passati i ‘checkpoint’ però il tratto di costa delimitato dai due castelli resta uno dei più affascinanti della Liguria, anche in una giornata come questa con la foschia che nasconde Portovenere e la Palmaria. La lunga passeggiata è la stessa che da piccolo facevo proprio ogni domenica con la mia famiglia. Si arrivava in corriera dopo un viaggio infinito ma non si doveva fare i conti con sbarre e divieti. Un po’ come andare allo stadio e dover passare da un tornello per ammirare il mare.

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Un Chimico e il mare

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(@dettobene)

Nel caos della mia macchina occupano parecchio spazio anche tanti cd che in casa sarebbero solo soprammobili come gli altri visto che non ho più un lettore ad eccezione dell’autoradio. Fra quelli stipati nelle portiere in questi giorni sta girando parecchio “Non al denaro non all’amore né al cielo” di De André, uno dei miei preferiti di Faber nonostante la mia lacuna letteraria di “Spoon River” che dovrò colmare appena possibile. In quell’album ci sono alcuni brani straordinari come “Un ottico” oppure “Un giudice”, ma in questi giorni l’associazione più frequente è con il passaggio di “Un chimico” dove De Andrè canta “Primavera non bussa lei entra sicura, come il fumo lei penetra in ogni fessura, ha le labbra di carne, i capelli di grano, che paura, che voglia che ti prenda per mano. Che paura, che voglia che ti porti lontano”. Le vicende del farmacista Trainor di Edgar Lee Masters non hanno troppo a che vedere con la mia domenica anzi, non hanno proprio nulla, però oggi passeggiando sulla spiaggia di Marinella quel pezzo mi è tornato in mente più volte. Venti gradi e il cielo senza nemmeno una nuvola non sono cosa da poco, specie di marzo, e il mare d’inverno ha un fascino impareggiabile. Raccoglie tutto ciò che il Magra si porta dietro lungo il suo percorso lasciandolo poi sulla sabbia. Tronchi, legni, rifiuti e pezzi di vita. Con questi qualcuno ne ha fatto una zatterina abbandonata in riva in balia della marea.

 “Guardate l’idrogeno tacere nel mare, guardate l’ossigeno al suo fianco dormire: soltanto una legge che io riesco a capire ha potuto sposarli senza farli scoppiare. Soltanto la legge che io riesco a capire”.

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Grandi bellezze quotidiane

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(@dettobene)

Negli ultim tre giorni non si è parlato d’altro che di bellezza. Sorrentino ha preso l’Oscar, ha ringraziato ed è salito al volo sulla sua nuova 500, lasciando tutti a discutere davanti alla tv (che colpo Mediaset!) e sui social network dove si è creato un intasamento di hashtag e commenti pari solo a quelli che scatena Sanremo. Avendo visto il film qualche mese fa e per nulla intenzionato a bissare, ieri sera ho preferito una cena in un luogo che mi è molto caro. Un piccolo ristorante che pur essendo a qualche chilometro dal mare offre ottimo pesce e idee sempre interessanti. È ‘La Tana del Riccio’ di Santo Stefano Magra che stavolta ha ripagato la mia fiducia con rossetti, una spigola e altre chicche. Bellezza nel piatto e nel gusto, molto più vivace di quanto stava accadendo su Canale5.
Sensazioni che mi sono goduto anche due mattine fa a Bocca di Magra. Mi capita raramente di andarci in inverno, così dopo una conferenza stampa ho lasciato la macchina e ho fatto due passi lungo il fiume fino al porticciolo. Da un lato il locale di Ciccio con tutti i suoi pezzi di arte contemporanea, dall’altro la foce del fiume con il volo solitario di un gabbiano a pochi metri da me. Sullo sfondo le Apuane nascoste da qualche nuvolone, Fiumaretta e il litorale. Una quiete impossibile da trovare in altre stagioni, tanto piacevole da rendere innocuo anche il vento freddo di questi giorni. Lo stesso che oggi ha pulito il cielo nel momento del pomeriggio in cui sono uscito per fare qualche foto al castello davanti a casa, regalandomi questo spettacolo unico. Santo Stefano, Bocca di Magra e Castelnuovo, luoghi di grande bellezza quotidiana.

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