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Un trolley a Brick Lane

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di @dettobene

– Ohi quanto vuoi per quel trolley?

– 25

– No, 25 è troppo! Massimo 20

– No no amico, 25. E’ l’ultimo rimasto, lo vendevo a 30. E’ un affare, e poi lo puoi mettere anche in stiva.

– Ma non mi serve metterlo in stiva, lo imbarchiamo. Venti è un buon prezzo

.

– Ragazzi questo tizio è caro, io ho comprato i guanti per mia moglie ma vi conviene andare verso Liverpool Street, c’è un mercato dove trovate il trolley a venti sterline. L’ho preso anche io uguale a questo. Lui è caro.

– Bene grazie! Ora guardiamo là

– Ah ma siete italiani?

– Si

– Sentite come parlo bene italiano? Ho vissuto a Catania per nove anni, mio figlio è nato lì e ora fa l’avvocato. Poi siamo venuti qui.

– E qui come si trova?

– Bene! Vedete sono venuto a comprare i guanti per mia moglie, ha il salone di bellezza più bello di Tower Bridge, arriva la gente anche dall’America per andare da lei, cercatelo su Internet.

– Lo faremo, grazie!

– Buona giornata, e ricordate di passare da Liverpool Street!

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Talenti e leggende: tutti i premiati ai Drum and Bass Awards 2014

Fabio

(@dettobene)

Cerimonia dal forte accento mancuniano ieri sera all’Indigo di Londra dove sono stati consegnati gli awards 2014 di Drum and Bass Arena, portale e punto di riferimento per la scena che proprio in questi giorni festeggia i suoi 18 anni di attività con un triplo cd. L’iniziativa, giunta alla sua sesta edizione, ha riunito ancora una volta protagonisti affermatissimi e talenti emergenti di un genere che sta vivendo un ottimo periodo con nuove contaminazioni e numeri davvero importanti. Come detto si è ritagliata uno spazio importante anche la vivacissima realtà di Manchester con Dub Phizix & Strategy che a tre anni dal successone di ‘Marka’ si sono assicurati il premio come miglior video con l’ultimo “Buffalo Charge”.

Della stessa banda anche il talentuosissimo Liam ‘Skittles’ Kelly che ha ricevuto il riconoscimento come miglior Mc emergente. C’è un po’ di nord anche nel duo Sigma che con lo splendido singolo “Nobody to love” ha sbaragliato la concorrenza ottenendo il meritatissimo premio per la miglior canzone che l’anno scorso aveva visto trionfare un altro pezzone come “Afterglow” di Wilkinson. I vincitori di queste tre categorie avevano ricevuto le mie preferenze come per la miglior serata ed etichetta dove non ho potuto fare a meno di votare la Hospital Records. Scontati ma meritatissimi i premi per Dynamite Mc (miglior Mc) e Andy C (miglior dj), con quest’ultimo che sta portando a casa ogni riconoscimento possibile e del resto non potrebbe essere altrimenti. Il boss della Ram ha infatti ottenuto il più alto numero di voti per il sesto anno consecutivo, tanto che come ha scritto qualcuno presto la categoria potrebbe essere ribattezzata “Andy C award”. Strameritato anche il riconoscimento per Fabio, inserito di diritto nella hall of fame come uno dei pionieri di un genere che da vent’anni spinge con impareggiabile eleganza.

Questi gli altri premiati: Emperor (dj emergente), Maduk (produttore emergente), Let it roll (festival), Camo & Krooked (live), State of Mind “Eat the Rich” (Album), Riya (vocalist) e Noisia (produttore).

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Hospitality a Brixton: emozioni e drum and bass in HD

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di Benedetto Marchese (@dettobene)

Che sia una serata di quelle speciali te ne accorgi uscendo dalla metro di Brixton dove ad accoglierti trovi numerosi bagarini dall’accento cockney i quali intercettano il flusso di giovani che si dirigono verso l’O2 Academy per il quarto appuntamento con l’Hospitality. Come accaduto negli altri precedenti l’evento è già sold out da una quindicina di giorni ma qualcuno si salva all’ultimo minuto pagando qualche sterlina in più per il prezioso tagliando che vale dieci ore di musica drum and bass in uno dei luoghi più affascinanti di tutta Londra.

Quelli della Hospital Records infatti sono riusciti a creare un vero e proprio ‘evento’ che ogni sei mesi riunisce a sud del Tamigi tutti i migliori dj dell’etichetta e cinquemila appassionati provenienti da tutta l’Inghilterra e da ogni parte del mondo, mentre per chi non riesce ad essere presente c’è una seguitissima diretta streaming su Youtube, a testimoniare come ormai il successo dell’etichetta sia ormai molto radicato anche al di fuori dei confini europei.

La coda all’ingresso è di quelle che in Italia ti farebbero passare la voglia di entrare ma qui, nonostante la accurate procedure di controllo biglietti e sicurezza, bastano pochi minuti per ritrovarsi davanti alle porte che si aprono sull’immensa platea che culmina con il palco sovrastato dall’inconfondibile logo che compare su altre centinaia di magliette. La musica è quella dei giovani Fred V e Grafix i quali quando l’Academy deve ancora riempirsi lasciano il posto a Tony Colman –London Elketricity, alla sua prima uscita del 2012 dopo qualche problema di salute ed ora perfettamente a suo agio dietro ai due piatti su cui girano solo vinili mentre la voce di Mc Wrec accompagna un set impeccabile. Uno dei momenti più attesi del venerdì di Pasqua targato Hospital arriva però di lì a poco quando in consolle sale High Contrast.

Davanti al riccioluto genio di Cardiff scende un immenso telo sul quale vengono proiettate immagini in alta definizione, selezionate e montate da lui stesso. Frammenti di film e video perfettamente contestualizzati con i brani introdotti dall’immancabile Dynamite Mc. Le prime note di ‘The agony e the ecstasy‘ dell’omonimo ultimo album sono accompagnate dal boato del pubblico e da centinaia di cellulari e digitali che immortalano il momento mentre sullo sfondo scorrono le riprese del video e Jessy Allen esegue dal vivo le parti vocali. Neorealismo e bassi che ti avvolgono, scorci di Londra ed i caratteristici inserti vocali di brani come ‘If we ever’ e ‘Not waving, but drowning‘ con il ritorno della bionda cantante gallese, oppure l’intro degli Who in ‘The road goes on forever‘ diventato ormai un classico delle notti all’Academy. Baci e spari in alta definizione esaltano ‘Kiss kiss bang bang’ e le suggestioni cinematografiche di ‘Emotional vampire‘, brano in ‘stile Morricone’ accompagnato da volti e primi piani perfetti. Oltre che per la qualità delle sue produzioni High Contrast è da sempre conosciuto per i suoi imprevedibili remix e la prova arriva poco dopo quando nel video compare Otis Redding e il dj, che si era superato in ‘Hometown glory’ di Adele, propone una personalissima versione di ‘Try a little tenderness’ nella quale anche Dynamite s’inserisce a meraviglia creando un’atmosfera unica che culmina con il gran finale affidato a ‘The first note is silent’ e al video realizzato dallo stesso Lincoln Barret. Immagini che chiudono uno set di emozioni ‘in HD’ e saziano il desiderio del protagonista che il giorno dopo sul suo profilo Twitter (con foto dello straordinario Gian Maria Volontè) scriverà “Ieri sera ho soddisfatto l’ambizione di portare un rave dentro ad un cinema”.

Ma la notte di Brixton è solo nella sua parte centrale e dopo High Contrast propone l’esibizione di Logistics che per l’occasione presenta il suo album “Fear not” (artwork a cura dell’ispiratissimo illustratore di casa Trickartt)  la cui title track da il via ad un set ricco di sfumature e con una ricchissima varietà di tempi e stili. Accompagnato da Mc Wrec il dj e produttore di Cambridge propone pezzi nuovi ed altri classici oltre ai successi degli ultimi mesi fra i quali non manca il supersuonato ‘Marka’ di Dub Phizix, Skeptical e Strategy,  oltre ad  “Out the blue” di Sub Focus. Prologo perfetto per l’altro momento più atteso di tutta la serata: il live di Netsky.

Hospitality a Brixton significa sempre qualcosa di particolare, dagli ospiti alle anteprime assolute. In questo caso l’esibizione del tutto speciale  del talentino belga che in meno di due anni è riuscito ad affermarsi come uno dei più innovativi produttori nella scena drum and bass mondiale, iniziando proprio da questo palco la sua ascesa. Il giovane Boris mostra un po’ di emozione prendendo posto dietro alla consolle con drum machine, laptop e campionatore, mentre al suo fianco si sistemano un batterista ed un tastierista. Quelli che seguono infatti sono quarantacinque minuti di dnb suonata dal vivo, proprio come facevano ormai qualche anno fa London Elektricity e Breakbeat Era. L’attesa è rotta solo dalle urla dei cinquemila dell’Academy che accolgono con un applauso l’incedere in crescendo di ‘Secret agent’ mentre la splendida coreografia luminosa taglia il buio della platea con enormi fasci di luce che illuminano i volti ed i sorrisi dei fedelissimi della label. Il quadro, di per sé già perfetto, viene impreziosito dal timbro soul della voce di Mc Darrison, mentre Netsky alterna a successi come ‘Give e take’ ed il remix di ‘Everyday’ per Rusko oltre ad alcuni estratti del nuovo attesissimo lavoro che uscirà a fine maggio consacrandolo definitivamente come uno dei talenti più puri nel genere. Lo spettacolo, che verrà ripetuto nei prossimi festival estivi, regala sensazioni davvero inattese permettendo di cogliere sfumature sonore che da sole valgono il prezzo del biglietto.

Altri talenti in ascesa nel roster della Hospital sono i due austriaci Camo & Krooked, che nell’appuntamento di settembre si presentarono dentro ad una gabbia a led luminosi mentre nella notte pre pasquale optano per un set molto più sobrio dal punto di vista scenografico ma sempre molto convincente sotto il profilo musicale. Eclettici ed energici, in grado di dare fondo all’immenso potenziale di bassi che fanno vibrare il pavimento dell’Academy, s’insinuano sulle gambe e nel petto e trascinano anche la balconata dove anche i più stanchi non riescono a stare fermi o seduti. I due viennesi sostenuti dall’mc Youthstar partono da ‘Run Riot’ per un’ora che spazia dai brani remixati dell’ultimo Between the lines passando per ‘Rock it’ di Sub Focus, ‘Hide u’ dei Kosheen e ‘Beatiful lies’ di B-Complex fino ad un accattivante remix di ‘They don’t care about us’ di Michael Jackson. Alfieri della Hospital anche all’estero, Camo e Krooked si giocano poi la carta Ayah Marar che acclamata dal pubblico di Brixton esegue con loro ‘Cross the line’ e ‘Watch it burn’ con la consueta grinta che la sta portando ad affermarsi come solista. Dalla liquid alla dubstep non dimenticano una delle hit più recenti come ‘Hot right now’ di Fresh e addirittura ‘Sun is shining’ di Bob Marley. Bass music a 360° per i due talenti della Hospital che chiudono ancora con la cantante giordana che interpreta un’energica versione di “I’ve got to be alone” conquistando l’ovazione di una platea che si prepara ormai per il rush finale.

Il timone passa dai due ragazzi al brasiliano S.P.Y, dalle strade di San Paolo a quelle di Brixton dove risuonano i suoi pregevolissimi beats e la voce di Mc Lowqui, mentre sotto al palco maglie sudate e bottigliette d’acqua dei ravers sono in perpetuo movimento. S.P.Y sfodera il meglio: il remix di ‘Go’ per Delilah, il classicone da brividi ‘By Your side’ e ‘Marka’ prima di congedarsi con la voce di Emeli Sandè in ‘Heaven’. Il finale è invece affidato a Nu:Tone, veterano dell’etichetta che suona gli ultimi dischi di un’altra serata da ricordare. L’elegantissimo ritornello ‘Spread Love’ anticipa le prime luci dell’alba su Londra mentre le emozioni sono ancora forti e la stanchezza solo un dettaglio trascurabile.

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Torna il London International Ska Festival con Pioneers, Dandy Livingstone e tanti altri

di Benedetto Marchese (@dettobene)

È stata definita nei giorni scorsi la ricchissima line up del London International Ska Festival che dopo il grandissimo successo della scorsa edizione torna dal 3 al 6 maggio a poche settimane dal cinquantesimo anniversario dell’indipendenza della Jamaica.

Il festival, promosso ancora una volta da Sean Flowerdew e Rockersrevolt con Academy Events, si sposterà dall’affascinante Clapham Grand Theatre, dove fra gli altri dodici mesi fa si erano esibiti anche Giuliano Palma & The Bluebeaters e il leggendario Ken Boothe, dividendosi fra l’O2 Academy di Islington e quella di Shepherd’s Bush, per un programma che riguarderà da vicino tutte le declinazioni e le sfumature del genere che ha profondamente influenzato lo stile musicale britannico: dal mento al rocksteady fino al reggae, al 2Tone e allo ska-punk. Quaranta le esibizioni già confermate con concerti e dj set ad aprire e chiudere le quattro serate. Si inizierà il 3 maggio con i Pioneers e Dawn Penn, mentre il giorno successivo toccherà al leggendario Dandy Livingstone (esclusiva mondiale per il ritorno sulle scene dopo quarant’anni) con Dave Barker e un altro pezzo di storia come Rico Rodriguez. Nella stessa sera spazio anche ai Phoenix City All-Stars per la presentazione del loro nuovo album ‘2 Tone: Ska & Rocksteady Special’. Anteprima del nuovo lavoro anche per i Dualers con il loro tributo al padrino Prince Buster sabato 5, quando sullo stesso palco saliranno anche Ska Cubano e gli Hotknives nella loro formazione originale per la celebrazione del loro trentennale. Domenica gran finale con i californiani Fishbone, Neol Davies dei mitici Selecter e l’omaggio Laurel Aitken.

Ad impreziosire le quattro serate saranno anche i dj set che l’anno scorso infiammarono la pista del teatro a sud del Tamigi fra Fred Perry, bretelle e boots Dr Martins. Protagonisti in quest’occasione saranno: Jerry Dammers degli Specials, Don Letts, Gaz Mayall, Andy Smith e Dreadzone Sound System.

Un cast di altissimo livello che promette di ricreare la stessa affascinante atmosfera della passata edizione, richiamando a Londra per quattro giorni rudeboys da ogni parte del Mondo, Italia compresa.

I biglietti sono acquistabili sul sito ufficiale dove si trovano tutte le informazioni necessarie. (Occhio all’ottimo merchandising)

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David Rodigan a Genova: la storia del reggae al servizio di Sua Maestà

di  Benedetto Marchese 

Per essere inseriti dalla Regina Elisabetta nell’Eccellentissimo Ordine dell’Impero Britannico non sono necessari modi aristocratici ed aspetto austero, possono essere sufficienti un sorriso rassicurante, giradischi, microfono e soprattutto una sterminata conoscenza musicale. Come nel caso del dj David Rodigan, da poco entrato nella prestigiosa lista di Buckingham Palace per il suo contributo al servizio radiofonico di Sua Maestà e da più di trent’anni punto di riferimento della scena reggae internazionale. Da tempo però anche le sue esibizioni sotto la Lanterna sono diventate un appuntamento fisso nel programma della Festadelsole, grazie al suo solido legame con l’Italia e alla passione per la focaccia. “Genoa is good to be back!” ha detto sabato sera aprendo il suo show dopo i locali Cuffa Sound al Ghost Club di Staglieno, pieno fino alla porta d’ingresso per colui che ha contribuito attivamente alla diffusione del genere sia in Inghilterra che nel resto del mondo. Un distinto gentleman sessantenne che per quasi due ore e mezzo ha fatto ballare il suo pubblico passando dai leggendari Bob Marley, Jimmy Cliff e Toots and The Maytals, fino alle canzoni più recenti. Una selezione impreziosita da un gran numero di duplates, ovvero versioni di brani registrati esclusivamente per lui, fra cui “Marka” di Dub Phizix and Skeptical che la sera precedente aveva fatto letteralmente impazzire la platea del Fabric di Londra. Sonorità queste ultime in bilico fra dubstep ed half-step che Rodigan, intrattenitore senza eguali, ha saputo magistralmente mixare con quelle inconfondibili dei pionieri dello ska, testimoniando l’eccletticità dei suoi set che ormai da qualche mese animano anche gli eventi della Hospital Records, etichetta di punta della drum and bass. Dalle sfumature digitali ai nomi del reggae italiano più noti all’estero: Sud Sound System ed Alborosie, nonostante l’infelice polemica di poche persone che hanno criticato l’eccessiva presenza di questi brani nella scaletta. Contestazione che ha sorpreso lo stesso dj il quale ha chiesto loro, senza ricevere risposta: “come fate ad odiare la vostra stessa gente?”, prima di riprendere con alcuni grandi classici di Prince Buster e Skatalites per chiudere in trionfo nella notte di Genova “focaccia city”.
(pubblicato su www.cittadigenova.com)

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Dalla jungle a Camo & Krooked, la notte Hospitality alla Brixton Academy

di Benedetto Marchese

Due dj chiusi all’interno di una gabbia circolare i cui led illuminano i volti di cinquemila persone, un impianto che spinge bassi potentissimi e alle loro spalle il logo inconfondibile identico a quello stampato su centinaia di t-shirt all’interno dell’O2 Academy. E’ stato questo uno dei momenti più significativi della terza serata Hospitality a Brixton dello scorso 30 settembre, con il set del duo austriaco Camo & Krooked che ha catalizzato l’attenzione di un pubblico che anche in questa occasione, dopo il primo evento di dodici mesi fa ed il bis di aprile ha fatto segnare sold out con parecchi giorni d’anticipo. I giovani gioiellini della Hospital Records hanno fatto le cose in grande per battezzare l’uscita del loro “Cross the line”, secondo album personale ma primo con la label di Tony Colman e Chris Gross che in questo momento guarda tutti dall’alto nella scena drum and bass, in quanto a qualità delle uscite e successo delle serate che sempre più frequentemente stanno varcando i confini britannici per un marchio che è ormai una garanzia assoluta di divertimento.

Come già accaduto nelle due edizioni precedenti l’appuntamento londinese è stato scelto per il lancio di una nuova pubblicazione ma anche per riunire in un’unica serata tutti i dj dell’etichetta per più di sette ore ininterrotte di drum and bass a 360°, dalla jungle delle origini magistralmente raccolta nei sessanta minuti dell’ospite d’eccezione Dj Zinc, fino alle variazioni più attuali liquid e dubstep. Per nulla emozionati dal ruolo affidatogli, Camo & Krooked che già con il precedente “Above & Beyond” avevano dato prova del loro talento, hanno offerto un set brillante ed adrenalinico, composto essenzialmente dai nuovi brani ed impreziosito dalla presenza di Tc, Messy Mc e dalla scintillante Ayah Marar la cui voce ha accompagnato i due su “Cross the line” e “Watch it burn”, confermando le potenzialità della cantante in grande ascesa nel mondo dell’elettronica inglese.

Se gli ultimi arrivati in casa Hospital hanno dimostrato di meritare primi posti nelle classifiche ed ampio spazio sui media, non sono certo stati da meno i veterani del gruppo che in quindici anni di attività ha ridato slancio e visibilità al genere, grazie anche alla duttilità di produttori come Danny Byrd. Dietro ad una postazione con tastiere, drumpad e vocoder ha dato vita ad uno dei momenti più coinvolgenti della serata, con brani come “Tonight” e la splendida “Sweet Harmony”, andando bel al di là del dj set vero e proprio l’uomo di Bath ha regalato anche un’anticipazione di quello che sarà il seguito di ‘Rave digger’ con l’ottima “B.R.I.S.T.O.L”.

Un dj carismatico che dà sempre l’impressione di riuscire a far muovere anche le gambe più pigre con qualsiasi tipo di ritmo, caratteristica che accomuna anche London Elektricity. Quest’ultimo, accompagnato dal fido Mc Wrec, da buon padrone di casa anticipa l’esibizione di Camo e Krooked racchiudendo in sessanta minuti i molteplici aspetti di suoni e melodie ordinate in sequenze raffinate e sempre sorprendenti. Richiami minimali in stile Med School (altro ramo della label), estratti dall’ultimo ‘Yikes!’, classici da brividi come “Your side” di SPY e sorprese assolute come “Rolling in the deep” di Adele o ancora “Live and let die” di Paul McCartney che sbuca dal nulla dopo un ingnorantissimo pezzo dubstep. Tutto totalmente inaspettato ma allo stesso tempo travolgente, come “Hold On” di Rusko che improvvisamente lascia spazio alla voce di General Levy di “Incredible” accolta con un boato dalla sudatissima massa di corpi sotto al palco.

Quando Colman conclude il suo set l’Academy è ormai piena all’inverosimile: se all’esterno Brixton porta ancora i segni dei riots di agosto, dentro l’O2 il clima è di festa assoluta con i ravers in perpetuo movimento, dall’enorme pista ai corridoi dove sono posizionate altre due consolle, fino alla balconata superiore dove le poltroncine permettono alcuni minuti di riposo fra un set e all’altro. Sono passate da un po’ le due quando ai piatti si presenta Netsky, il talentino belga che nel giro di un anno è diventato uno dei dj più richiesti e seguiti del roster Hospitality. Merito del dirompente ed omonimo album d’esordio, riproposto in parte nell’occasione con la complicità del sempre impeccabile Mc Dynamite, il quale si presenta chiedendo “un pezzo estivo” e ricevendo in cambio “Jammin” di Bob Marley. L’applauditissimo omaggio al re del reggae dà il via ad un set molto eclettico nel quale trovano posto anche Snoop Dog ed Eve con “Let me blow ya mind” ma anche sonorità tipiche del giovane produttore che chiude con la recente e raffinatissima “Lotus Symophony” lasciando la scena ad High Contrast.

La silhouette del riccioluto gallese, in assoluto uno dei migliori di sempre nella storia della drum and bass, è inconfondibile anche dall’ultima fila della pista, ma lo è ancora di più il tocco raffinatissimo di mister Lincoln Barrett che inizia dalla fine, ovvero dal freschissimo singolo “The first note is silent” realizzato con Underworld e Tiesto e del quale lui stesso ha curato il video uscito in questi giorni.

Diecimila mani al cielo celebrano il successo di un singolo che anticipa il nuovo, attesissimo album, di colui che forse più di tutti racchiude l’essenza di uno stile che va molto oltre il concetto di intrattenimento, colpisce al cuore e trasmette emozioni vere che da sole valgono il prezzo del biglietto o di un viaggio andata e ritorno dall’Italia.

Un’ora di musica che Dynamite asseconda con esperienza anche nei passaggi sull’immancabile “If we ever”, la nuova “Fearful symmetry” o su un classicone dance come “Show me love” rivisitato dallo stesso High Contrast, il quale sceglie accuratamente inserti vocali e citazioni che trovano la perfetta rappresentazione nell’inedita e magnifica “Wish you where here” e nel finale dedicato a “Teenage wasteland” degli Who.

Uno spirito che è poi quello della Hospital che si rinnova allargando i propri orizzonti senza mai perdere quello subito riconoscibile, che può permettersi un evento di questo tipo e che a Brixton si gioca l’ultima carta vincente con Nu:Tone e Logistics per dare l’ultimo scossone emozionale a quei cinquemila che non smettono di ballare. Sudore e sorrisi in una caldissima e magica notte di settembre.

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Conto alla rovescia per il London International Ska Festival

di Benedetto Marchese

Ken Boothe, Bob Andy & Marcia Griffiths, Dave e Ansell Collins, i nostri Bluebeaters e ancora Dub Pistols, The Trojans, Loafers ed Owen Gray. Offre il meglio dello ska e del rocksteady inglese ed internazionale con band e dj il “London International Ska Festival” che dal 21 al 24 aprile porterà al Clapham Grand Theatre di Londra appassionati dei ritmi in levare da tutto il mondo. Un festival che nasce da lontano, dalla prima edizione del 1988 al Fridge di Brixton con nomi come Laurel Aitken e Bad Manners, e che ora si ripresenta con gli stessi promotori di allora e le premesse di un appuntamento imperdibile nella città che affonda le sue radici nel genere nei primi anni Sessanta quando s’intensificò l’immigrazione dalla Giamaica. Musica e cultura dell’isola caraibica penetrarono a fondo nel tessuto sociale britannico diventando parte integrante delle abitudini musicali dei Mod prima e di Rude Boy e Skins subito dopo, fino alle ondate 2Tone nei decenni successivi, che hanno fatto di Londra l’epicentro sottoculturale e stilistico di un genere intramontabile caro anche alla Regina Madre, come ha scritto ieri il Daily Mail. Un lavoro notevole quello degli organizzatori, che sono riusciti a riunire per la prima volta dagli anni Settanta Dave e Ansell Collins, che sul palco celebreranno il quarantesimo anniversario della loro hit “Double Barrel”, ma anche Bob Andy e la “regina del reggae” Marcia Griffiths per un duetto da brividi.Fra i protagonisti del festival ci saranno anche Giuliano Palma e The Bluebeaters che apriranno la prima serata anticipando l’attesa esibizione di Ken Boothe. Un traguardo sicuramente importante per la band nata quasi per gioco una quindicina di anni fa con membri di Casino Royale, Africa Unite e Fratelli di Soledad con lo spirito di riproporre in chiave rocksteady e blubeat grandi classici e brani riscoperti per l’occasione. Unico gruppo italiano in un evento nel quale stile e fascino non mancheranno sicuramente.

 

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Kruder&Dorfmeister: il suond di Vienna che affascina la notte di Londra

 

di Benedetto Marchese

Dall’uscita del doppio “K&D sessions” sono passati ormai dodici anni, ma Peter Kruder e Richard Dorfmeister rappresentano ancora un punto di riferimento nella club culture internazionale, come testimoniano l’attenzione dedicatagli dagli appassionati, ed il successo del tour mondiale la cui data newyorkese ha ricevuto ottimi riscontri anche sull’autorevole New York Times. Un ritorno sulle scene in grande stile, dopo qualche tempo dedicato a progetti paralleli, evidenziato anche dalla prima esibizione a Londra lo scorso 22 ottobre nel raffinato Roundhouse di Chalk Farm, a pochi passi dalla caotica Camden Town. Accolti dai bagarini all’ingresso e dalla giustificata curiosità di un pubblico eterogeneo, affascinato negli anni dall’inconfondibile sound dell’etichetta G-Stone, i due dj viennesi si presentano sul palco dell’arena circolare introdotti dall’mc Earl Zinger e circondati da dodici schermi che sono il valore aggiunto dello show. Un set cronologico “dal passato, al presente, al futuro” come spiega il teatrale e coinvolgente maestro di cerimonia mentre il caldissimo ritmo di Rollin on Chrome abbraccia il pubblico in un ritorno al passato da brividi. Con una sottile linea rossa a disegnare forme caleidoscopiche sui led luminosi, dall’alto della loro postazione Kruder e Dorfmeister aprono così un set che nella prima parte prosegue con i capolavori che li hanno resi celebri: dal remix di “Bug powder dust” di Bomb the bass, a quello di “Useless” dei Depeche Mode. Piccoli pezzi di storia della musica elettronica che costringono agli straordinari decine di digitali ed iPhone puntati verso quello che per lunghi tratti diventa un unico grande scherno cinematografico, con al centro i suoi due protagonisti principali. Attori con l’eleganza di un film di Tom Ford, impeccabili nei loro completi neri e nel produrre un sound che gradualmente vira verso latitudini più house e minimali, accompagnato dalle voci di Zinger e di Ras Tweed, l’altro mc che balla ed improvvisa con lui con tipico accento giamaicano, entrando ed uscendo dai brani scanditi anche dai giochi di luce ed immagini sui monitor. Linee geometriche, figure colorate, sagome in movimento e riprese della crew G-stone, vengono meravigliosamente manipolate da Fritz Fitzke il quale riesce a creare un impianto scenografico che spesso prende il sopravvento sulla musica, portandola ad essere in più di un’occasione colonna sonora dello spettacolo. Fra le suadenti linee di basso e batteria si riconoscono anche produzioni più recenti come “Law of return” e “Voom voom baby”, mentre il finale regala due perle che conquistano senza troppi problemi l’ovazione di un pubblico rapito dallo show. La prima è un omaggio a “We will rock you” dei Queen il cui ritornello fa però riferimento alla G-stone, prima di accelerare su un tempo drum and bass e dissolversi nel capolavoro “Speechless”. La seconda, che chiude un’esibizione quasi perfetta, è la cover di “Let it be” dei Beatles, proposta in versione karaoke e con il titolo modificato in “K&D”. Un finale ironicamente autocelebrativo che risplende nella notte londinese ammaliata dai due brizzolati produttori viennesi.

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Dal Picco al The Den

di Benedetto Marchese

(Pubblicato su Cittadellaspezia il 18/10/2008)

Londra, metropoli multietnica da otto milioni di abitanti e dagli innumerevoli spunti culturali e sociali, ma anche patria di un calcio che per molti versi racchiude ancora intatti molti dei suoi valori più sani. Luogo ideale per lasciarsi alle spalle le recentissime delusioni: Sarzana, il Lottogiaveno e le successive contestazioni; trascorrendo qualche giorno con amici accomunati dallo stesso amore per le aquile seppur molto lontani da casa. Soffrono per le sorti della squadra incollati alla Rete a caccia di notizie, chiedono e s’informano, non avendo ancora vissuto dal vivo la nuova categoria, cercano risposte ai perché di una situazione apparsa inizialmente più rassicurante; bramando quanto prima il ritorno al Picco. Le ragioni però non possono che essere sommarie, poco esaustive perché per certi versi inspiegabili dopo risultati poco confortanti. Allora la presenza in città di squadre e stadi dal fascino indiscusso, diventa una buona scusa per mettere da parte l’argomento e addentrarsi in una realtà piuttosto distante da quella vissuta in prima persona. Certo, sperare di assistere ad un match dal vivo nella settimana santificata alla nazionale dei tre leoni di Fabio Capello, è un po’ come trovarsi nel Paese dei Balocchi il giorno di chiusura; ma un breve tour in tre zone e altrettanti stadi della capitale, riesce comunque ad appagare la voglia di quel calcio sempre visto in tv o letto sui libri. Stamford Bridge per iniziare, casa del Chelsea di Roman Abramovich, che sorge nel benestante e curatissimo quartiere di Fulham, a ovest della città. L’inizio con una delle squadre fra le più forti e ricche del panorama europeo è casuale, ma si rivela utile per un confronto con quelle successive, meno votate al business ad ogni costo. Se non fosse per le gigantografie della squadra o di alcune vecchie glorie quali Peter Osgood, si potrebbe infatti pensare di essere capitati in un moderno centro commerciale con annessi alberghi a lato degli ingressi dei vari settori. La visita all’interno è ovviamente a pagamento, mentre l’entrata nel negozio ufficiale è un po’ forzata ma comunque libera. Dalle magliette al modellino dello stadio, fino al cellulare, si può acquistare qualsiasi oggetto griffato con il leone blu rampante. Espressione massima della commercializzazione della passione e dei propri colori, resa ancora più netta dalla struttura dell’impianto e dal contesto del quartiere; con l’unico richiamo al passato dato da una targa, appesa ad un muro, che lo ricorda come luogo fisico della vecchia “Shed”, la gradinata simbolo dei Blues.
Tutto funzionale, sontuoso e moderno, ma troppo freddo, poco appassionante; troppo distante dai canoni abituali per essere apprezzato. Per trovare qualcosa di più autentico ed emozionante, è necessario spostarsi allora dall’altro lato della città, dall’agiato ovest di Londra al più popolare quartiere di Newham, a due passi dall’East end, un tempo approdo di immigrati ed ora protagonista di una vera e propria rinascita architettonica e culturale. La fermata di Upton Park porta ad un contesto molto diverso da quello precedente, e la famosa Green Street che conduce allo stadio del West Ham, rispecchia pienamente le origini di un quartiere nel quale da decenni gruppi etnici fra i più disparati convivono in simbiosi l’uno con l’altro. Da un lato della strada lunghe file di case popolari, dall’altro il maestoso impianto, con la caratteristica cancellata che apre la visuale sulle due torri, nelle quali spiccano i martelli incrociati sul caratteristico sfondo “Claret & blue”. Il bordò e il celeste che rifiniscono ogni dettaglio del Boleyn Ground, stadio che da qualche mese ospita mister Gianfranco Zola. Qui, dove una delle gradinate è dedicata alla leggenda Bobby Moore, si respira un clima diverso; certo vi si trovano l’hotel, il museo, l’immancabile negozio e la visita guidata in cambio di un po’ di sterline; però si ha veramente la sensazione di essere in uno dei luoghi di culto del calcio britannico, nonostante l’inevitabile impronta commerciale. Un impressione confermata dalla statua che domina l’incrocio a pochi passi dall’impianto e dal Boleyn, il pub di riferimento dei tifosi degli “Irons”. Il monumento è quello dedicato agli eroi del Mondiale del ’66: Geoff Hurst, Martin Peters and Ray Wilson che sorreggono il capitano Moore con la coppa Rimet; quattro campioni del Mondo con la maglia del West Ham, un pezzo di storia che da solo vale la visita.
Ritrovarsi in luoghi come questi, reduci dal Miro Luperi, mette a disagio fa sentire un po’ fuori luogo, a distanze impossibili dalla realtà attuale, parlando comunque di club che frequentano stabilmente lo sfarzoso e spettacolare teatro della Premier League. Il desiderio di scendere più in profondità è forte e la soluzione è vicina, appena sotto il Tamigi, a Bermondsey; sud-est della City poco distante dal London Bridge ma fuori da ogni rotta turistica; casa o meglio “tana” del Millwall parafrasando il nome del suo stadio il “The Den” appunto. Autofficine, depositi e caseggiati popolari sono il perimetro poco ospitale dello stadio di recente costruzione, distante solo pochi isolati da luogo in cui sorgeva il vecchio impianto, che come quello attuale non ha mai vissuto momenti di gloria paragonabili a quelli degli altri team londinesi. La squadra infatti, fondata da operai portuali scozzesi e attualmente in terza divisione; nella sua storia ultracentenaria non ha mai vinto scudetti ne F.a. Cup (persa in finale nel 2005 con il Manchester) concedendo ben poche soddisfazioni ai suoi affezionati tifosi. La storia del club e il clima particolarmente “provinciale” suonano molto più familiari rispetto ai due precedenti, e la cordialità delle persone, prossime alla fine del turno di lavoro all’interno dello stadio, creano un’atmosfera molto vicina a quella voluta. Dalla segretaria, che apre senza problemi le porte degli spogliatoi e del campo da gioco, fino all’addetto alla vendita dei biglietti. Racconta di un club che solitamente arriva a otto-novemila spettatori e registra il tutto esaurito per incontri sentiti come quello di ieri con il Leeds (vinto 3-1), e soprattutto chiede e s’informa sulla provenienza dei suoi interlocutori stranieri. “Spezia” è la più ovvia delle risposte e di lì a poco ci si ritrova su un bus in piena Londra, a raccontare, non senza orgoglio, della serie B, della Juve, di una vittoria impossibile ad un secondo dalla fine; ma anche di retrocessione, fallimento, di una categoria troppo brutta per essere vera. L’espressione è quella di chi riesce a capire perfettamente la situazione e lo stato d’animo, e prima di sparire nella metro, dopo i sorrisi e i saluti, l’uomo si congeda con una frase che sa di benedizione calcistica: ‘God bless your team’. Un arrivederci che vale quanto una vittoria esterna, che a centinaia di chilometri da casa riesce a farti sentire ancora più fiero della tua squadra, della sua storia e della sua dimensione.

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