Kruder&Dorfmeister: il suond di Vienna che affascina la notte di Londra

 

di Benedetto Marchese

Dall’uscita del doppio “K&D sessions” sono passati ormai dodici anni, ma Peter Kruder e Richard Dorfmeister rappresentano ancora un punto di riferimento nella club culture internazionale, come testimoniano l’attenzione dedicatagli dagli appassionati, ed il successo del tour mondiale la cui data newyorkese ha ricevuto ottimi riscontri anche sull’autorevole New York Times. Un ritorno sulle scene in grande stile, dopo qualche tempo dedicato a progetti paralleli, evidenziato anche dalla prima esibizione a Londra lo scorso 22 ottobre nel raffinato Roundhouse di Chalk Farm, a pochi passi dalla caotica Camden Town. Accolti dai bagarini all’ingresso e dalla giustificata curiosità di un pubblico eterogeneo, affascinato negli anni dall’inconfondibile sound dell’etichetta G-Stone, i due dj viennesi si presentano sul palco dell’arena circolare introdotti dall’mc Earl Zinger e circondati da dodici schermi che sono il valore aggiunto dello show. Un set cronologico “dal passato, al presente, al futuro” come spiega il teatrale e coinvolgente maestro di cerimonia mentre il caldissimo ritmo di Rollin on Chrome abbraccia il pubblico in un ritorno al passato da brividi. Con una sottile linea rossa a disegnare forme caleidoscopiche sui led luminosi, dall’alto della loro postazione Kruder e Dorfmeister aprono così un set che nella prima parte prosegue con i capolavori che li hanno resi celebri: dal remix di “Bug powder dust” di Bomb the bass, a quello di “Useless” dei Depeche Mode. Piccoli pezzi di storia della musica elettronica che costringono agli straordinari decine di digitali ed iPhone puntati verso quello che per lunghi tratti diventa un unico grande scherno cinematografico, con al centro i suoi due protagonisti principali. Attori con l’eleganza di un film di Tom Ford, impeccabili nei loro completi neri e nel produrre un sound che gradualmente vira verso latitudini più house e minimali, accompagnato dalle voci di Zinger e di Ras Tweed, l’altro mc che balla ed improvvisa con lui con tipico accento giamaicano, entrando ed uscendo dai brani scanditi anche dai giochi di luce ed immagini sui monitor. Linee geometriche, figure colorate, sagome in movimento e riprese della crew G-stone, vengono meravigliosamente manipolate da Fritz Fitzke il quale riesce a creare un impianto scenografico che spesso prende il sopravvento sulla musica, portandola ad essere in più di un’occasione colonna sonora dello spettacolo. Fra le suadenti linee di basso e batteria si riconoscono anche produzioni più recenti come “Law of return” e “Voom voom baby”, mentre il finale regala due perle che conquistano senza troppi problemi l’ovazione di un pubblico rapito dallo show. La prima è un omaggio a “We will rock you” dei Queen il cui ritornello fa però riferimento alla G-stone, prima di accelerare su un tempo drum and bass e dissolversi nel capolavoro “Speechless”. La seconda, che chiude un’esibizione quasi perfetta, è la cover di “Let it be” dei Beatles, proposta in versione karaoke e con il titolo modificato in “K&D”. Un finale ironicamente autocelebrativo che risplende nella notte londinese ammaliata dai due brizzolati produttori viennesi.

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