Archivi tag: vera vigevani jarach

Incontro con una madre di Plaza de Mayo

Lapide per i desaparecidos (foto Benedetto Marchese)

(@dettobene)

“Le vendette non servono, quello che chiedo è che non ci sia mai più silenzio, perché la cosa peggiore che abbiamo dovuto soffrire è stato il silenzio della stampa, della Chiesa, di tutti i complici delle persecuzioni. Di fronte a guerre e genocidi dovete parlare, senza mai essere indifferenti o guardare altrove”. E’ stato un messaggio molto significativo quello lasciato  agli studenti di tre classi del Parentucelli da Vera Vigevani Jarach, rappresentante delle “Madri di Plaza de Mayo” ospite di “Incontrare la memoria”, appuntamento autunnale del Festival Sconfinando tenutosi nella sala consiliare di Sarzana. Testimone diretta del dramma dei desaparecidos durante il regime di Videla ha infatti raccontato la propria esperienza nei fatti che fra il 1976 ed il 1983 segnarono una profonda ferita nell’Argentina che vide sparire nel nulla, dopo torture ed umiliazioni, più di 30mila dissidenti la maggior parte dei quali giovanissimi.
Accolta da Carmen Bertacchi, direttrice artistica della manifestazione che si è spesso occupata anche di minoranze e solidarietà e da Patrizia Rossi e Rossana Pittiglio in rappresentanza dell’amministrazione e del consiglio comunale, Vera Vigevani è stata accompagnata da Daniele Zuffanti dell’associazione “24 marzo” e introdotta da Gerardo Victorio Giffuni, insegnante venezuelano del linguistico “Manzoni” di Milano il quale ha sottolineato: “Sono grato a Sarzana per come ha aperto le porte a queste tematiche, prima con lo spettacolo “Los Justos” e oggi incontrando una grande testimone della storia di due continenti”.
“La parola “sconfinare” mi piace moltissimo – ha esordito la minuta e tenace ospite – perché è fondamentale andare oltre i confini ed i limiti, avvicinarsi e discutere. Le parole hanno un valore e di questi tempi si cita spesso la “tolleranza” ma noi non dobbiamo tollerare, dobbiamo rispettare, perché anche quello dei migranti è un genocidio che riguarda persone che hanno bisogno di solidarietà ed accoglienza. Come avvenuto in Argentina dove gli emigranti furono accolti e fatti integrare”.
Accade anche a lei e alla sua famiglia di origine ebraica quando nel 1938 all’età di dieci anni raggiunse il paese Sudamerica in seguito alle leggi razziali. “Sono andata via dall’Italia per sfuggire al nazismo – ha raccontato – mio nonno è finito ad Auschwitz e come mia figlia non ha avuto una tomba, solo vent’anni dopo ho scoperto che anche lei è passata da un campo di concentramento (il famigerato “Esma” di Buenos Aires) prima di sparire su un volo della morte. Il passato è importantissimo – ha detto rivolgendosi agli studenti che l’hanno seguita con grande attenzione – ma bisogna guardare avanti perché è necessario conoscere i fatti per evitare che certe cose si ripetano. Cercate sempre di capire e di non fermare testa e gambe, anch’io finché potrò girerò con questo fazzoletto”.

Il pezzo di stoffa bianco annodato sotto il collo è infatti il simbolo delle mamme e delle nonne che affrontarono pacificamente il regime sfilando in Plaza de Mayo. Ognuno porta il nome di una persona scomparsa, nel caso di Vera Vigevani quello di Franca, svanita nel nulla a soli 18 anni. “Il colpo di stato del 1976, nel 24 marzo come l’eccidio della Fosse Ardeatine, avviò l’ultima di sei dittature, quella “civico militare” sostenuta dai poteri forti con lo scopo di evitare quei cambiamenti che avrebbero potuto portare ad una giustizia sociale per tutti. Da quel giorno tutto si intensificò e visto che fra genitori ci conoscevamo decidemmo di riunirci in piazza, da sempre luogo di contatto fra il popolo e chi lo governa. C’era lo statoo di assedio e non si poteva stare ferme in gruppo così camminavamo senza fermarci, avevamo paura ma stavamo lì mentre i mariti ci guardavano da lontano per non correre il rischio di essere portati via, sorte toccata a tre di noi e ad una suora che erano state sequestrate, torturate ed uccise. Erano trattate un po’ meglio solo le donne incinte i cui figli venivano poi dati alle famiglie dei militari. Le abuelas, le nonne, ebbero invece il compito prezioso di preservare l’identità delle famiglie ed evitare che i bambini crescessero con gli assassini dei loro genitori. Chi sopravvive diventa fondamentale. Ci definivano “le locas”, le pazze – ha proseguito – ma volevamo solo sapere dove erano finiti i nostri figli. L’idea dei fazzoletti bianchi o dei pannolini di stoffa dei neonati sulla testa nacque durante una marcia, per distinguerci ma anche per ricordare i nomi dei nostri ragazzi che la dittatura voleva cancellare. Dopo i fazzoletti vennero le foto con i loro volti per creare una resistenza esclusivamente pacifica. In Argentina nessuno si è fatto giustizia con le proprie mani”.
Ex giornalista dell’Ansa e memoria storica di quei giorni, Vigevani Jarach ha ricordato anche collaboratori e colpevoli di quel regime: “L’ambasciatore italiano Enrico Carrara chiudeva tutte le porte, si mandavano le notizie ma non arrivava nulla, solo il Corriere della Sera iniziò a pubblicare qualcosa interrompendo questa censura. Tutti mi chiedono del comportamento della Chiesa: quella del popolo era con noi, quella dei prelati e del Vaticano è sempre rimasta in silenzio, il nunzio apostolico ci diceva “poverette” ma noi volevamo azione non compassione. Solo il presidente Sandro Pertini – ha affermato – ruppe il silenzio dichiarando “io sono indignato per quanto sta succedendo in Argentina per i nostri connazionali”. C’è sempre chi mi parla di ‘obbedienza dovuta’ ma questa non è e non era obbligatoria, anche Priebke, che a Bariloche ha fatto una vita normale da cittadino comune, si è sempre difeso dicendo “ho ubbidito agli ordini” nonostante abbia commesso altri crimini oltre al noto eccidio di Roma. Preferisco ricordare ‘i giusti’, quelli che si sono adoperati per gli altri come il Console Enrico Calami (detto anche “lo Schindler di Buenos Aires”) o i cittadini di Nonantola che salvarono molti adolescenti ebrei”.
Nel corso della mattinata, in cui sono stati citati anche genocidi come quello armeno le drammatiche situazioni attuali di Venezuela o Messico, è emerso anche il legame diretto fra l’Argentina di allora e Sarzana dove fra il ’76 ed il ’78 trovarono rifugio molti esuli con le loro famiglie. Un episodio di solidarietà e generosità tuttora ricordato da una targa nel centro cittadino.  “Unitevi e pensate in gruppo – ha poi concluso Vera Vigevani Jarach parlando agli studenti – affidatevi all’amicizia e alla fratellanza e impegnatevi con la ragione per cambiare le cose”.

Vera Vigevani Jarach a Sarzana

(pubblicato su Cittadellaspezia il 12 ottobre 2015)

2 commenti

Archiviato in Senza categoria