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Badia al Pino e Gabriele Sandri

Badia al Pino

(@dettobene)

Da quella domenica del 2007 ogni 11 novembre ripenso a quanti autogrill ho visto macinando chilometri in giro per l’Italia dietro allo Spezia. A quante volte avrei potuto ritrovarmi nella situazione di Gabriele Sandri durante un viaggio con gli amici di sempre, a cinquanta come a cinquecento chilometri da casa. Un pensiero fatto anche oggi, dopo aver visto diverse volte negli anni il punto da cui sparò Spaccarotella come il pezzetto di prato dove si trova il cippo dove continuano a fermarsi tutti gli ultras. Mi è tornata in mente anche la prima volta, di ritorno da Avellino quando si tornò a giocare quindici giorni dopo il fatto e Vi il quale notando sugli scaffali dell’autogrill il modellino della Volante lo girò, in modo che non si vedesse, dicendo alla commessa “no signora, non mi sembra proprio il caso, non qui”.

Riporto qui alcuni passaggi di un pezzo scritto nel 2008 ad un anno dal fatto. (Qui)

“Il sabato per il calcio e il giorno successivo per la famiglia, a tavola mentre in giro per l’Italia migliaia di altri ragazzi si apprestano a vivere le stesse emozioni da te provate ventiquattrore prima. Migliaia meno uno; uno dei tanti, la cui vita è appena finita in un’anonima area di sosta in Toscana. Badia Al Pino è solo il nome di un luogo; Gabriele Sandri l’identità di una persona con la quale inizialmente ti sembra di non aver nulla a che fare. Poi nelle ore successive ti accorgi che quel ragazzo non era solo un tuo coetaneo, ma come te amava la vita, la musica e gli amici, condivideva la tua stessa passione per la propria squadra del cuore; tanto da ritrovarsi a viaggiare da Roma a Milano per vederla dal vivo. Apprendendo i particolari della vicenda, la dinamica del fatto e la genesi di quel viaggio, ricordi quante volte ti sei ritrovato in piedi prestissimo ma sveglio e lucido come non ti sarebbe mai capitato in altre occasioni. Puntuale all’appuntamento con gli amici, quelli di sempre, con i quali negli anni condividi gioie e dolori, magari conosciuti proprio grazie all’amore comune per la tua squadra. In piena notte oppure all’alba, con buona pace di genitori apprensivi che ti vorrebbero a casa anziché in viaggio alla volta di città lontane. Almeno apparentemente tranquillizzati dalle consuete frasi di circostanza, anche se dentro di te speri che tutto possa andare bene come sempre successo fino a quel momento. Persuaso da una sicurezza apparente, pur sapendo che talvolta le cose non dipendono da te, che per quanto tu possa essere pacifico, “tranquillo” o comunque portato a farti i fatti tuoi, possa capitarti di ritrovarti in situazioni pericolose o non volute. Avendo un minimo di esperienza, sei perfettamente conscio che per quanto gli stadi siano “sicuri”, gli autogrill e le aree di sosta per forza di cose non possano esserlo. Pur essendo al corrente della cosa pensi che per una logica del tutto irrazionale certe situazioni spiacevoli debbano capitare ad altri e non a te; lo fai senza un motivo preciso, rimandando, nascondendo la consapevolezza del pericolo. Rimani della tua idea fino a quando non prendi coscienza della morte, fino a quando in quel luogo tanto insignificante quanto disgraziato ti ci trovi, pochi giorni dopo l’accaduto. Immediatamente comprendi di un colpo di pistola sparato da settanta metri di distanza; vieni assalito dallo sconforto. Lì, in quel luogo di morte, capisci quante volte quel ragazzo avresti potuto essere tu, in una qualsiasi giornata di campionato in giro per l’Italia, fermo in una qualunque area di sosta bramando un caffè ed un cornetto cercando di scacciare dalla testa l’idea del letto caldo abbandonato qualche ora prima; ma sempre con l’irrefrenabile voglia di stare vicino ai tuoi colori”. 

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