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Good Old Boys, i cinque fratelli del rap sulla strada del Boss

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(@dettobene)

Rap, sudore e amore: niente a che vedere con il trascurabilissimo tormentone estivo di qualche anno fa, ma il riassunto ben più sostanzioso del passaggio sul palco del Boss dei Good Old Boys, ovvero Colle Der Fomento e Kaos One, figure chiave dell’hip hop italiano che hanno confermato, se ancora ce ne fosse bisogno la loro la loro attitudine live ma anche il solidissimo legame con una città che in ogni occasione ha sempre ricambiato il loro arrivo con grande affetto. Mai prima di questa edizione del festival al Centro Allende, si erano però presentati tutti insieme nella versione che ormai da due anni li vede in tour come unica entità con tre microfoni e i due dj Baro e Craim.
Il risultato, in una città coinvolta nella scena fin dagli inizi, poteva essere solo un set caratterizzato dai brani più importanti delle rispettive carriere messi in rima a pochi centimetri da un pubblico che ha profuso ogni goccia di sudore ma non ha perso né un beat né una sola strofa di quei cinque amici, o fratelli come loro stessi si definiscono, dagli stili diversi ma perfettamente complementari con identità e coerenza come punti di partenza.

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“E’ che se volemo bene” puntualizza Danno – con l’accento romano con cui negli anni assieme all’impeccabile Masito ha raccontato vizi, strade e vita della Capitale – introducendo “Sergio Leone”, singolo che due anni fa doveva anticipare l’imminente uscita di un album che ancora non c’è mentre i ‘colleghi’ continuano a sfornare lavori più o meno discutibili in un momento in cui sotto la parola ‘rap’ si vende tutto o quasi. Qui c’è forse il tratto distintivo dei Colle Der Fomento come di Kaos e quindi Good Old Boys: centinaia di concerti ovunque in giro per l’Italia ma pochi album, senza sentire l’esigenza di monetizzare indiscutibili talento e passione. “Non ci vedete in tv e non ci sentite nelle radio – rivendica l’mc – ma siamo ancora qui, a testa alta, dopo vent’anni”. Il motivo è spiegato dalla carica di pezzi come “Piombo e fango”, “Firewire”, “Ghetto Chic”, “Capo di me stesso”, “Ciao ciao” o “Più forte delle bombe” e dalle parole che lo stesso Danno rivolge ai giovanissimi delle prime file “Fidatevi solo di quello che piace a voi, state alla larga da chi avanza salendo in testa agli altri, siate precisi. Non ascoltate artisti senz’anima”. Fra questi ultimi non c’è sicuramente Kaos One, precursore del rap italiano che in un mercato come quello attuale potrebbe vivere di rendita su quanto fatto dalla metà degli anni Ottanta ad oggi e invece, con l’inconfondibile voce roca di sempre, mette in rima la distanza dalla faccia più commerciale della stessa medaglia. Ecco “Uno”, “Carcere a vita” e “Quello che sei” prima di “Cose e preziose” e “La fenice”, collaborazione datata 2007 e ancora di fortissimo impatto live.

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Fra scratch, rime e citazioni di Morricone, con il pubblico del Boss già conquistato da un bel po’, non può mancare un omaggio a Sean Price, rapper statunitense scomparso prematuramente poche ore prima e ricordato dallo stesso Danno, sia in apertura che sulla fine del concerto quando, accennando alla sua storia fatta di errori e grandi ritorni ribadisce: “C’ha messo il cuore e l’anima perché non è vero che conta solo chi vince e che nella vita c’è un solo round, nella vita dovete crederci e voler bene a chi vi sta accanto”. A pochi metri da lui c’è ancora Kaos, uno dei cinque fratelli sulla strada: “Speriamo di avervi lasciato qualcosa – conclude rivolto alla sua gente – di sicuro noi qualcosa di buono ce lo portiamo via”. Solo amore.

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(pubblicato su Cittadellaspezia il 9 agosto 2015)

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