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Jean Jullien e il suo disegno “per Parigi, per le vittime e loro famiglie”

paris

“Peace for Paris” (Jean Jullien)

(@dettobene)

“Ho fatto questo disegno nel modo più spontaneo e sincero, come reazione di cuore verso quello che stava accadendo”. Tramite il suo profilo Instagram oggi Jean Jullien ha spiegato con queste parole il senso di quello che grazie ai social è diventato in poche ore un’icona del cordoglio per le vittime degli attentati del 13 novembre a Parigi. Poco dopo gli attacchi a St.Denis, al Bataclan e nelle strade del centro, il giovane illustratore originario di Nantes ha twittato l’immagine con la Tour Eiffel all’interno del simbolo della pace. Un tratto semplice ma d’impatto, tanto efficace da ottenere brevemente centinaia di migliaia di condivisioni finendo replicato un po’ ovunque (ieri anche sulla maglia dello Spezia Calcio), e come capitato anche alle celebri matite di Lucille Clerc dopo l’attentato a Charlie Hebdo, attribuito inizialmente in modo errato al solito Banksy.

jj

@jena_jullien

Finalmente nelle ultime ore un po’ tutti hanno scoperto e potuto apprezzare anche gli altri lavori del grafico che nel suo curriculum ha anche collaborazioni per The New Yorker, Guardian e Centre Pompidou.
Oggi, sempre tramite Instagram è tornato su quel disegno: “Grazie a tutti per i vostri messaggi di sostegno per Parigi – ha scritto – da quando ho pubblicato “Peace for Paris” ho faticato a tenere il passo e tornare a fare ciò che più amo: disegnare. Quello che ho fatto è un disegno per Parigi, per tutte le vittime e per le loro famiglie. E’ il modo peggiore per essere conosciuto – ha ammesso – visto che normalmente con il mio lavoro cerco di far sorridere le persone. Non l’ho fatto per trarne beneficio, è un segno per tutti per condividere mostrare il loro supporto e la loro solidarietà. E’ un segno di pace – ha ribadito – per tutte le altre città e paesi di tutto il mondo toccati da tali assurdità e violenza. Le vittime degli attentati stavano facendo quello Parigi fa al meglio: ridere, bere, chiacchierare e ascoltare musica. Vivere e amare”.
Parole molto significative accompagnate da un’altra illustrazione con i suoi tratti distintivi che in questo caso ha posto l’attenzione sul cuore, perché “questo è tutto quello che potevo disegnare oggi – ha ammesso – il mio cuore e il mio amore alle vittime e a Parigi, perché si possa continuare a vivere e ad amare”.

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Berengo Gardin, il mestiere del fotoreporter

Berengo Gardin

(dettobene)

Non mi interessa il lirismo né la poesia, a me interessa documentare le cose”. Intervenuto nel secondo giorno del Festival della Mente di Sarzana ieri Gianni Berengo Gardin ha sintetizzato così il suo approccio alla fotografia, che ha contribuito a renderlo uno fra i più importanti fotoreporter in Italia e all’estero. Classe 1930, nato a Santa Margherita ma cresciuto nella Roma occupata, ha iniziato a fotografare con la macchina della madre, prima di intraprendere la carriera vera e propria a Venezia. “Inizialmente avevo velleità artistiche, facevo foto ai tramonti in Laguna – ha detto di fronte alla platea del Canale Lunense – poi più tardi leggendo i libri che mio cugino di mandava dall’America ho capito che sarebbe diventato un lavoro vero”. Un’esperienza alimentata dalle influenze della letteratura di Faulkner, Hemingway e Steinbeck: “Quando mi sono recato per la prima volta nei luoghi da loro descritti mi sono reso conto di conoscerli alla perfezione”. 

Narrazione e fotografia sono sempre state una costante nella carriera di Berengo Gardin, come spiegato dall’editore di Contrasto Roberto Koch che ha dialogato con lui sul palco: “Nel suo caso – ha evidenziato – c’è sempre stato un impegno concreto nel narrare usando la macchina come una penna. Narrazioni diverse come architettura, inchiesta e denuncia sociale”.
Il primo successo editoriale è arrivato proprio con un libro su Venezia accompagnato dai testi di Mario Soldati e Giorgio Bassani, poi “Morire di classe” con Carla Cerati, pubblicazione di denuncia sulla condizione dei manicomi italiani nel 1968. “Franco Basagalia – ha ripreso Berengo – si batteva per la chiusura dei manicomi e nessuno fino a quel momento aveva mai pubblicato immagini sulle case di cura. Abbiamo fatto vedere a tutta l’Italia come vivevano i pazienti, contribuendo all’approvazione della legge 180 in Parlamento. In sei mesi ci siamo recati in diversi manicomi, anche a Firenze che era considerato uno dei peggiori. I direttori non ci facevano entrare ed erano gli stessi malati ad aiutarci per farsi fotografare, facendoci passare come parenti. Capivano l’importanza di quegli scatti”.
In ambito sociale un altro importante lavoro di Gianni Berengo Gardin ha riguardato le comunità rom di Firenze, Padova ed altre città: “Si parla spesso di loro in termini negativi – ha sottolineato – ma conosciamo solo una minima parte, ho vissuto con loro ed è stata un’esperienza particolare, come la collaborazione con Renzo Piano per il quale fotografavo i cantieri ancora in corso dando un contributo indispensabile al suo lavoro”.
Con la sua macchina a pellicola prima a tracolla e poi appoggiata sulla scrivania del Festival, a margine del suo apprezzatissimo intervento si è sottoposto con grande disponibilità all’affetto delle tantissime persone che lo hanno avvicinato per un saluto e un autografo, ma anche per avere un parere sulla tesi. Il suo tono pacato e sereno è cambiato solo quando si è trovato a parlare del presente e del futuro della fotografia, influenzata dall’avvento del digitale e degli smartphone. “Il telefonino si usa per telefonare – ha puntualizzato – e non per scattare. Mi sembra che ormai siano tutti fotografi ma questo è un mestiere come tutti gli altri che necessita di esperienza e studio ed ha le sue regole ben precise. Evitate di immortalare cose inutili. Non ce l’ho con il digitale – ha precisato – ma con i programmi di fotoritocco, molti miei colleghi scattano a raffica tanto dopo possono aggiustare tutto, ma così si riempiono i giornali di immagini false. Credo che l’era dei fotografi sia finita, almeno in certi ambiti”. Una preziosa lezione sul mestiere del racconto per immagini fatta con la massima consapevolezza: “Se ho avuto un certo successo – ha concluso – è perché ho sempre conservato lo spirito del dilettante senza mai smettere di fotografare”.

(pubblicato su Cittadellaspezia il 31 agosto 2014)

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CocaColla chiude, per una lettera

Di seguito il comunicato dei ragazzi di CocaColla.it ai quali va tutta la mia solidarietà.

“CocaColla.it è un blog che dal 2010 si occupa di arte, design, advertising, lifestyle e trend della rete, dedicato a chi ama l’arte contemporanea in ogni sua espressione. Il nostro blog in questi due anni ha avuto talmente successo che è diventato uno dei punti di riferimento per il design e per la street-art. Grazie al quotidiano impegno e alla costante dedizione del nostro team, CocaColla è entrato nelle chart italiane di settore, toccando gli 1,5 MILIONI di visitatori unici nel primo anno di vita. Contiamo più di 7000 liker su Facebook e 1000 follower su Twitter. I nostri articoli sono stati letti in 202 paesi sparsi per il mondo.

CocaColla è diventato talmente famoso che anche la Coca-Cola Company si è accorta di noi e un paio di settimane fa, per mano del loro ufficio legale, ci ha fatto recapitare due lettere di diffida, chiedendoci di ritirare le pratiche avviate per la registrazione del marchio e la cessione nei loro confronti del “nome a dominio” http://www.cocacolla.it. Non sono da ritenersi esenti i nostri profili social. Pena citazione a giudizio. La motivazione è la seguente: … che la registrazione e l’utilizzo da parte sua del nome a dominio http://www.cocacolla.it determina l’insorgere di un grave rischio di confusione per i consumatori che possono essere indotti a ritenere che il segno COCACOLLA ed il nome a dominio www.cocacolla.it siano volti a contraddistinguere prodotti/servizi distribuiti, organizzati o sponsorizzati dalla nostra cliente o che comunque l’uso del segno COCACOLLA da parte sua sia stato autorizzato dalla nostra assistita in base ad accordi o altri legami contrattuali o societari, il che non corrisponde al vero. L’uso del segno COCACOLLA e del nome a dominio http://www.cocacolla.it da parte sua costituisce inoltre contraffazione dei celebri marchi costituiti dalla dicitura Coca-Cola della nostra assistita. In poche parole ci chiedono di chiudere, cedere il dominio e di sospendere la pratica di registrazione del marchio. Ed in soli 15 giorni. L’idea di chiamare il blog CocaColla nasce da uno dei nostri primissimi brainstorming, quando pensammo di mettere insieme la colla, elemento fondamentale dell’artistica di base e della street-art, con la Coca-Cola, simbolo della cultura pop, dell’industrializzazione e della pubblicità. Per noi in questo nome c’era tutto quello che volevamo comunicare: tutte le nostre passioni, tutti gli argomenti che di lì a poco sarebbero diventati i temi del nostro lavoro quotidiano di ricerca e produzione di contenuti. Un nome facile da ricordare e irriverente che fa il verso proprio al soft drink più famoso al mondo.

 Immaginavamo che prima o poi qualcosa sarebbe potuto accadere, quindi non appena abbiamo ricevuto le lettere abbiamo contattato uno specialista in diritto industriale e in proprietà intellettuale. Analizzato il caso ci ha convinto che fosse meglio mollare tutto, perché andare avanti in un’azione legale sarebbe stato un massacro, soprattutto per le nostre tasche. Il nostro è infatti un progetto editoriale e non avremmo mai potuto permetterci una battaglia legale contro una multinazionale del genere. Ormai con certezza, dobbiamo comunicarvi che il 5 Marzo 2012 chiuderemo il dominio http://www.cocacolla.it e tutti i profili social ad esso collegati. Inutile sottolineare la nostra amarezza, figlia dall’ennesima situazione nella quale Davide soccombe inevitabilmente contro Golia. Con questo comunicato vogliamo attenzionare a tutti voi quanto è accaduto e comunicarvi che stiamo già lavorando ad una nuova identità. Per evitare di perdere quanto costruito in questi due anni con CocaColla vi chiediamo di sostenerci comunicando la news sui vostri blog, sulle vostre pagine, sui vostri canali e su Twitter usando l’hashtag #supportcocacolla. Potete registrarvi alla nostra newsletter rimanendo aggiornarti sugli sviluppi futuri del nostro blog. Di questa storia ve ne saremo grati”.

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Stefano Bollani e Sandrone Dazieri ad Anteprime di Pietrasanta

di Benedetto Marchese

Si è conclusa domenica a Pietrasanta con l’esibizione di Ken Follett e la sua band “Damn right i got the blues” la seconda edizione di ‘Anteprime, ti presento il mio prossimo libro’, la tre giorni organizzata dalle più importanti case editrici italiane per promuovere i titoli di prossima pubblicazione presentati al pubblico direttamente dagli autori. Una formula riuscitissima anche quest’anno, grazie alla varietà dei nomi proposti nel programma del festival, ma anche all’ospitalità della capitale culturale della Versilia nella quale si sono alternati personaggi come Vauro Senesi, Luca Telese, Roberto Vecchioni, Valerio Massimo Manfredi, Sergio Zavoli, Giuseppe Ayala, Giorgio Faletti e Silvio Muccino solo per citarne alcuni. Firme più o meno autorevoli della letteratura contemporanea, che al pubblico che ha affollato i vari luoghi scelti per gli incontri, hanno spiegato genesi, aneddoti e contenuti dei libri che troveremo in libreria nella prossima stagione. Un progetto supportato da Einaudi, Electa, Mondadori, Piemme, Frassinelli e Sperling & Kupfer, che rappresenta un’ottima sintesi fra un’operazione di marketing di alto profilo ed un festival vero e proprio secondo i canoni ormai acquisiti in molte altre città. Un evento che nella sua giornata conclusiva oltre al concerto del re dei best seller, prossimamente in uscita con “l’inverno del mondo” e sicuramente più a suo agio come scrittore che non come musicista, ha fatto segnare il tutto esaurito per l’incontro con Concita De Gregorio e l’intervista con Stefano Bollani sul palco di Piazza Duomo. “Il pop? Ci sono capitato per caso e non per soldi” ha rivelato l’eclettico pianista raccontando i suoi esordi con Raf, “Era un genere che mi piaceva poco –ha aggiunto- per questo ho detto no ad un tour con Jovanotti. Ripetere le stesse canzoni per trenta date consecutive non piaceva. Un giorno Enrico Rava mi disse ‘sei giovane e puoi fare altro’. Da quel momento ho iniziato a lavorare per conto mio”. Dalla sedia al  vicino pianoforte Bollani spiega il suo concetto di musica, seguendo i rintocchi delle campana o spiegando: “Improvvisazione è scegliere ogni sera un percorso diverso, spesso mi lascio ispirare dal primo accordo con il quale inizio un concerto e da lì sviluppo il resto della serata. Mentre suono penso alla musica, sono concentrato su quello che accade”. Bollani, che fra qualche mese pubblicherà un libro dedicato ai generi della musica, saluta così il pubblico di Pietrasanta con il consueto medley composto dai brani suggeriti dalla gente che all’ombra del Duomo propone i titoli che il bravissimo pianista mescola fra loro, riproponendoli con ironia in un irresistibile finale che passa da Heidi ad Allevi fino a ‘vita spericolata’ di Vasco. Atmosfera più intima e raccolta ma altrettanto ironica nello spazio della Galleria Cardi, dove Sandrone Dazieri racconta origine ed incipit del suo prossimo libro, il cui titolo provvisorio è “L’uomo dei silos”. “Sarà ambientato a Roma –spiega lo scrittore cremonese che ha alle spalle un lunghissimo elenco di mestieri che hanno anticipato la sua brillante carriera- ed avrà come protagonista una poliziotta di nome Colomba in aspettativa per un trauma mentale che si conoscerà nel corso del libro, ed un ragazzo che da bambino è stato rapito e segregato per dieci anni. Insieme indagheranno sulla scomparsa di un ragazzino tra Roma e Cremona. Tutto però inizia dal ritrovamento del cadavere di una donna”. Qui finiscono le anticipazioni, ma non le curiosità regalate dall’inventore celebre ‘Gorilla’ portato sullo schermo anche da Claudio Bisio: “Il personaggio nasce nel 1999, facevo il giornalista e mi occupavo di controculture, cercavo un’altra chiave per raccontare la realtà dalla parte dei perdenti e non degli eroi, ed il noir mi dava questa possibilità. Mi facevano paura i matti e quindi ho voluto ribaltare i ruoli. Dopo dieci anni però era il caso di mandare in pensione il Gorilla e passare ad un’altra storia, anche perché altrimenti avrei dovuto farlo morire e francamente mi sarebbe dispiaciuto. Quando scrivo devo sentire la voce del personaggio, il mondo che ho nella testa è più attuale di quello che vivo, il mio è un approccio da autodidatta”. Un approccio portato con successo anche nella fiction televisiva che ha visto Dazieri come sceneggiatore di “Squadra antimafia” su Canale 5. “Un’ottima esperienza –spiega- la storia è sempre in movimento e c’è un confronto continuo con tutte le persone che lavorano alla realizzazione di ogni puntata”. Scambio di idee e pareri che Sandrone prosegue quotidianamente anche attraverso il proprio blog e Twitter: “Ho passato tutti i social network –sottolinea- ma questo è quello che preferisco. L’idea del blog è nata quasi per caso quando mi hanno chiamato quelli del Sole24ore, poi la cosa è proseguita. È tutto interconnesso, non guardando televisione m’informo attraverso il Web e scarico le serie tv americane”. Dexter fra le preferite, mentre nella sterminata competenza musicale spicca la passione per Leonard Cohen. Altre storie, da raccontare alla prossima occasione.

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Disegnatori e fumettisti si mobilitano per il Giappone con “Projet tsunami”

 

di Benedetto Marchese

Fra le tante iniziative di sostegno alla popolazione giapponese sconvolta l’11 marzo dal terremoto, dallo tsunami e dal successivo allarme nucleare, è sicuramente da segnalare quella del forum francese CFSL, dedicato al disegno, la grafica e all’illustrazione. All’indomani della catastrofe infatti i disegnatori Jean-David Morvan e Sylvain Runberg hanno lanciato l’appello a colleghi, professionisti e non, per realizzare un progetto che potesse contribuire a raccogliere fondi per la popolazione giapponese. In poche ore hanno aderito in tantissimi, riversando sul sito Projet Tsunami: Aidons le Japon decine e decine di manga, fumetti, illustrazioni e disegni che in un secondo tempo verranno poi venduti per devolvere le donazioni all’associazione Give2Asia. Da Godzilla a Totoro, dai classici tratti manga fino ai robot spaziali; temi immancabili nell’immaginario grafico nipponico, che gli autori francesi e non, in aumento giorno dopo giorno, stanno contribuendo ad esaltare in un progetto che attraverso l’espressione artistica vuole testimoniare la grande partecipazione del mondo all’immane tragedia che ha colpito la popolazione. Una terra, quella sconvolta dal sisma, molto cara a chi ama la grafica ed il fumetto, ed il cui sole rosso pronto a risorgere ricorre costantemente negli ottimi lavori fin qui pubblicati su un portale che è in continuo aggiornamento.

(foto credit Pascal Pelletier)

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“Loud Flash” la storia del Punk raccontata attraverso manifesti e fanzines

di Benedetto Marchese

Alla Haunch of Venison di Londra si chiude in questi giorni la mostra “Loud flash, british punk on paper” con poster, manifesti e fanzines raccolti a partire dal 1977 da Toby Mott, artista nato e cresciuto a Pimlico a pochi passi dal King’s Road a Chelsea, epicentro del movimento che ha cambiato la storia della musica. Tutto inizia al Roxy di Covent Garden, club leggendario del punk, dove Toby festeggia il suo quattordicesimo compleanno e come ogni teenager figlio della working class dell’epoca si avvicina a quel nuovo, rivoluzionario genere che da lì a poco sconvolgerà l’establishment britannico. Inizia ad acquistare sette pollici e soprattutto a collezionare testimonianze cartacee di un movimento che forse come nessun altro è stato caratterizzato dalla diffusione attraverso poster e manifesti anzichè da radio e  tv. Capolavori di taglia e incolla ciclostilati, manifesti diretti ed aggressivi “nella noiosa Gran Bretagna degli anni Settanta”. Nella sterminata collezione ospitata dalla Haunch of Venison, i lavori di Jamie Reid e Linder Sterling, rispettivamente per Sex Pistols e Buzzcocks, sono a pochi centimetri da quelli realizzati da perfetti sconosciuti che hanno inventato un vero e proprio stile di espressione grafica e comunicativa che ha segnato l’estetica del punk. Un linguaggio visivo talmente efficace da essere adottato anche da movimenti politici come il National Front e l’Anti-Nazi League i cui manifesti riprendevano chiaramente i canoni delle fanzines e delle locandine del punk; non mancano inoltre alcuni cimeli patriottici del Silver Jubilee della Regina Elisabetta che coincise nel 1977 con l’esplosione del movimento che stravolse la cultura popolare britannica. Quella di Toby Mott è una vera e propria ricostruzione storica del punk fatta attraverso gli slogan e le immagini di Sex Pistols e Clash, Crass e The Jam, Buzzcocks e Ultravox, Sham 69 e Siouxsie and the Banshees e delle decine di locali dai muri tappezzati di locandine che in modo amatoriale ma autentico hanno espresso il disagio e la ribellione di una generazione.

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