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Pasolini e i Partigiani di Sarzana

12 dicembre

(@dettobene)

Fra l’intervista alla vedova Pinelli, la rivolta di Reggio Calabria e i morti delle cave di Carrara c’è anche un po’ di Sarzana con lo scontento degli ex partigiani “traditi” dalle scelte e dalle decisioni del Partito Comunista nel Dopoguerra. Ritratti della realtà operaia e politica dell’Italia poco dopo la strage di Bologna e la misteriosa morte dell’anarchico milanese, inseriti da Pier Paolo Pasolini nel documentario “12 dicembre” realizzato con Lotta Continua e pubblicato nel 1972. Una collaborazione quella fra l’intellettuale di cui oggi ricorre il quarantesimo anniversario della morte e il collettivo extraparlamentare, che per quanto inizialmente inattesa portò invece alla composizione di un viaggio politico e sociale in un periodo storico caratterizzato da tensioni, lotte operaie, povertà e appunto il malcontento di alcuni ex combattenti “traditi” dopo la Resistenza.

Sul documento recentemente restaurato è stata ormai chiarita anche la chiara paternità di Pasolini grazie al ritrovamento di una registrazione, riportata anche dal Centro Studi di Casarsa della Delizia, nella quale lui stesso spiega: “C’ho lavorato, l’ho montato io, ho scelto io le interviste ma non ho messo la regia, perché gli avvocati che l’hanno visto mi hanno detto che era pericolosissimo, che mi avrebbero messo in prigione. E allora abbiamo trovato una formula per cui il mio nome ci fosse, perché chi voleva capire capisse, ma formalmente non potessero procedere contro di me. Io ho girato circa un sessanta per cento, ma l’ho montato tutto io. Però – e questo è il punto – non ci ho messo la mia ideologia. Da una parte ho messo quella che è la realtà, dall’altra ho fatto dire le loro idee a questi di Lotta Continua”.
Nei crediti iniziali si legge infatti “da un’idea di Pier Paolo Pasolini” mentre soggetto e sceneggiatura sono attribuiti a Giovanni Bonfanti e Goffredo Fofi anche se come detto lo scrittore e regista girò in prima persone alcune sequenze.

La parte sarzanese venne invece affidata a Mario Schifano, altro protagonista di primissimo piano della cultura italiana dagli anni Sessanta in avanti. Straordinario pittore (ma anche regista) che fu a lungo sostenitore e finanziatore di Lotta Continua e che Sarzana girò la scena in un’osteria di via della Pace gestita allora da un certo Bastian. Pochi minuti che davanti al bancone riprendono seduti attorno ad un tavolo un giovane Andrea Ranieri, che in merito “a Stato e partiti che non riescono a mettere nell’illegalità il fascismo” replica con una battuta sullo “Stato che è fascista”, e i partigiani Ernesto Parducci, “Martin” Isoppo e Magnolia detto “Gas”, oggi tutti scomparsi.
“Quando siamo andati ai monti eravamo un nucleo di gente pura che lottava per un ideale – dicono gli ormai ex combattenti – volevamo realmente cambiare la situazione ma è stato un inganno, una truffa. Hanno venduto quello che era il movimento partigiano”.

Una frustrazione per quello che non è stato dopo una stagione di lotta sanguinosa anche in Val di Magra, ben spiegato anche da Martin: “Quando tornai a casa nel maggio del 1945 mi dissero “cerchiamo di fare l’Italia con un altro sistema democratico e avanzato, con le riforme, senza tirrania o monarchia. Ma le cose non erano cambiate – osserva – cominciavano le lotte, gli scioperi, cominciavano di nuovo a sparare, mi dicevo “che Repubblica abbiamo fatto quando ci sono morti, la polizia che spara e Togliatti che concede l’amnistia ai fascisti?”. Che Repubblica abbiamo fatto, dicevo fra me e me, ma loro mi rispondevano: “Un passo alla volta, un passo alla volta, un passo alla volta”. Passi che sono sempre stati fatti nello stesso posto, tanto che per conto mio dove il Partito Comunista mi diceva di fare quei passi c’è un buco di due metri”.

(pubblicato su Cittadellaspezia il 2 novembre 2015)

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La collina di Sant’Anna

Sant'Anna di Stazzema (@dettobene)

“Non sentiamoci in pensione, non dimentichiamo”. A poche ore dall’immane tragedia del Canale di Sicilia, Enrico Pieri saluta con queste parole la comitiva giunta appositamente dall’Emilia e salita fino a 660 metri dal litorale della Versilia per vedere con i propri occhi il paese che il 12 agosto 1944 fu investito dalla furia nazifascista. E’ l’amara domenica del dramma dei 700 migranti annegati nel Mediterraneo davanti alle nostre coste, un fatto al quale l’anziano Pieri dedica un pensiero prima di tornare al racconto di quel giorno di settant’anni fa quando – sottolinea – “gli italiani portarono qui i tedeschii”. Fra i pochi superstiti della strage di Sant’Anna di Stazzema – dove nel 2000 è stato istituito il parco della pace – lui aveva infatti 10 anni quando si consumò uno dei più atroci crimini commessi ai danni delle popolazioni civili.

Sant'Anna di Stazzema

“Quel mattino di agosto – si legge in uno dei pannelli che accolgono i visitatori all’inizio del paese – a Sant’Anna uccisero i nonni, le madri, uccisero i figli e i nipoti. Uccisero i paesani ed uccisero gli sfollati, i tanti saliti, quassù, in cerca di un rifugio dalla guerra. Uccisero Anna, l’ultima nata nel paese di appena 20 giorni, uccisero Evelina, che quel mattino aveva le doglie del parto, uccisero Genny, la giovane madre che, prima di morire, per difendere il suo piccolo Mario, scagliò il suo zoccolo in faccia al nazista che stava per spararle, uccisero il prete Innocenzo, che implorava i soldati nazisti perché risparmiassero la sua gente, uccisero gli otto fratellini Tucci, con la loro mamma. 560 ne uccisero, senza pietà in preda ad una cieca furia omicida. Indifesi, senza responsabilità, senza colpe. E poi il fuoco, a distruggere i corpi, le case, le stalle, gli animali, le masserizie. A Sant’Anna, quel giorno, uccisero l’umanità intera”.

Sant'Anna di Stazzema

Un massacrò che si consumò nella piazzetta dove Pieri lascia il gruppo mentre io raggiungo il vicino Museo della Resistenza dove sono custoditi ricordi, reperti e immagini della strage, compreso il pannello con le foto e i nomi delle vittime sotto i sedici anni sterminati dalle SS (qui alcune testimonianze e informazioni sul depistaggio e l’inchiesta). Volti innocenti di neonati, bimbi e ragazzi brutalmente trucidati con genitori, nonni e parenti.

Sant'Anna di Stazzema

I loro corpi vennero accatastati e bruciati davanti alla chiesa – al cui interno sono ancora visibili i segni delle granate – e sotterrati. Solo nel 1948 i resti vennero raccolti nell’ossario che si trova al Col di Cava situato sopra al paese. Ci si arriva tramite la Via Crucis, un ripido sentiero lastricato e costeggiato da “formelle di bronzo, realizzate da insigni artisti, che collegano il Calvario di Cristo all’eccidio e, simbolicamente, le 560 vittime del 12 agosto 1944 ad ogni altro martire, della guerra e della violenza, di ogni luogo e di ogni tempo”.

Sant'Anna di Stazzema

Con la sua imponenza che induce ad un rispettoso silenzio il monumento domina una vista che unisce miglia di mare ad un lungo tratto di quella Versilia che nelle sue passeggiate domenicali sembra ben più lontana dei pochi chilometri di ripidi tornanti.

Sant'Anna di Stazzema

In una cappella all’inizio del vialetto che porta all’ossario sono appese una bandiera della pace e un drappo di Antifaschistische Aktion mentre un logoro tricolore ricorda la presenza di uno Stato che qui torna ad ogni ricorrenza (mentre sabato 25 aprile Sant’Anna ospiterà una puntata speciale di “Che tempo che fa” di Fabio Fazio).

Sant'Anna di Stazzema

Poco distante si trova invece quel che resta della grande lapide con i nomi dei 560 morti di Sant’Anna, abbattuta dal vento nel marzo scorso e già al centro di una raccolta fondi per la sua ricostruzione. I pezzi di granito e le lettere di ottone sparpagliate nell’erba legano i destini dei morti per l’odio nazifascista. Vittime innocenti che dormono su una collina che racconta il peggio dell’essere umano e una storia che non deve essere dimenticata.

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L’ultima corsa del partigiano Sgancia

Funerali di Sgancia

(@dettobene)

Poco più di due settimane fa intonando “Fischia il vento” al termine dei funerali di Vanda Bianchi, Giuseppe Cargioli aveva tirato fuori le ultime lacrime rimaste ai tantissimi accorsi a salutare la staffetta partigiana ‘Sonia’. Lunedì sera un destino poco paziente si è improvvisamente portato via anche lui, quello che per tutti era “Sgancia”, un pezzo importante della Resistenza spezzina che all’età di 86 anni aveva ancora l’entusiasmo e la brillantezza del 1944, quando scelse i sentieri dei monti combattendo con Giustizia e Libertà, Gordon Lett, il comandante Tullio e la Brigata Garibaldi “Ugo Muccini”. Si era guadagnato il nome di battaglia che portava con orgoglio perché essendo un gran camminatore conosceva alla perfezione ogni sentiero del nostro territorio, spostandosi rapidamente da un monte all’altro durante i rastrellamenti portava così gli ordini di sganciamento alle diverse brigate.
“In queste ore ho sentito il dolore vero delle persone che gli volevano bene – ha detto la figlia Mara, aprendo le esequie che si sono tenute al cimitero dei Boschetti – era una persona meravigliosa ma tante volte mi sono chiesta da dove venisse tutto questo amore nei confronti di mio padre, oggi ho avuto la risposta. Per lui la famiglia era sacra – ha aggiunto – e qui sul suo feretro c’è tutto il suo mondo: la bandiera dell’Anpi di Lerici ricamata dalla madre e tre rose. Una per la moglie Lina che dalle colline emiliane fino all’Australia è sempre stata con lui, l’altra per me, perché mi ha insegnato ad affrontare la vita sempre a testa alta, mentre la terza è per la sua adorata nipote Simona. Quando pensate a papà – ha concluso – fatelo con un sorriso perché lui voleva questo”.
Lo ha invece ricordato come un compagno di battaglia “leale e disponibile” il Comandate Fra’ Diavolo Luigi Fiori: “Lui c’era sempre, con grazia e con affetto – ha sottolineato – è stato partigiano fino alla fine della guerra, sempre convinto di essere dalla parte del giusto. Mi sento quasi in colpa per essere ancora qui oggi ma gli prometto che continuerò a difendere i valori di libertà, giustizia e uguaglianza che lo hanno sempre contraddistinto e per i quali abbiamo combattuto”.
Giuseppe Cargioli era nato a Fosdinovo e cresciuto a Lerici anche se come molti partigiani dopo la Liberazione era dovuto emigrare per trovare lavoro. Era andato in Australia – esperienza che ricordava sempre con grande piacere – per poi fare ritorno a casa dove partecipava attivamente alla vita politica e sociale della comunità, come ricordato dal sindaco Marco Caluri, vicino ai rappresentanti dei comuni della Spezia, Arcola e Castelnuovo e all’assessore regionale Vesco. “Ha sempre difeso i valori della libertà e della pace – ha spiegato Caluri – e gli sono grato per ogni parola di sostegno e amicizia che mi ha regalato. Il suo insegnamento è stato fondamentale per costruire un cammino fatto di valori importantissimi”.
Come Vanda Bianchi anche Sgancia aveva uno straordinario rapporto con i giovani ai quali come un nonno affettuoso raccontava aneddoti ed episodi di una vita avventurosa che lo aveva portato faccia a faccia con il nemico nazifascista, dall’altra parte mondo o davanti alla sua impareggiabile griglia per la carne. “Ci ha trasmesso grandi valori e sentimenti autentici come il suo sorriso – hanno detto Lombardi e Domenichini di Rifondazione – è stato un valoroso partigiano e un vero comunista”.
Particolarmente significativa anche la testimonianza di Alessio Giannanti di Archivi della Resistenza: “Dopo la morte di Vanda per noi questo è stato un altro colpo al cuore visto che nonostante l’età lo abbiamo sempre considerato una roccia. Sgancia è stato un esempio – ha concluso – e ci mancherà moltissimo, era un ‘navigatore della Resistenza’, non si era piegato nemmeno alle torture durante la detenzione dei fascisti e aveva ben chiaro il significato della solidarietà. Chiamava le cose con il proprio nome, è stato un uomo giusto che si è meritato il bene che si riserva alle persone speciali”.

(pubblicato su Cittadellaspezia il 20 Agosto 2014)

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“Niccioleta”, un eccidio raccontato da Ascanio Celestini

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(@dettobene)

“Per molti narratori raccontare una storia è come fare un regalo, dare un oggetto da scoprire piano piano, seguendo un percorso preciso”. Se il regalo proviene da Andrea Camilleri e il destinatario è Ascanio Celestini allora l’oggetto diventa ancora più prezioso e importante, per essere divulgato ha bisogno di un luogo adatto e di un pubblico numeroso e paziente. Uno scenario simile a quello che ha accompagnato l’attore e scrittore romano nel monologo “Niccioleta” alla decima edizione del festival della Resistenza “Fino al cuore della rivolta” alle Prade di Fosdinovo.
Uno spettacolo nato due anni fa, quando Camilleri lo invitò nella sua casa di Santa Fiora in Toscana per raccontargli la storia dei 77 minatori della frazione di Massa Marittima, uccisi dai nazifascisti nel giugno del 1944 (un po’ di storia QUI). Un eccidio fra i meno noti fra i molti che hanno caratterizzato la battaglia di Liberazione fra Liguria e Toscana, “una storia di guerra che in realtà non lo è” ha detto Celestini, spiegando come alla base della strage ci sia stata la ferma volontà dei minatori di difendere e presidiare il proprio posto di lavoro.
Una vicenda legata alla Resistenza ma basata sui diritti dei lavoratori, simile a quella che dieci anni dopo li accomunerà i 43 minatori del vicino paese di Ribolla morti in un’esplosione e ancora più tardi ai presidi contro la chiusura dell’Ilva di Taranto.
Vicende narrate da Celestini con il consueto stile ricco di particolari che hanno arricchito la storia mettendone in evidenza i protagonisti senza mai allontanare il pubblico dai fatti, e impreziosite in questo caso dalla voce dello stesso Camilleri. In particolare nei passaggi riguardanti i momenti successivi alla fucilazione e all’esplosione della miniera, con un processo che non portò a condanne e la rapida chiusura di quel luogo divenuto teatro di vita e di tragedia.
Minatori ‘morti di lavoro’ per un posto difeso strenuamente. Un luogo, la miniera, legato anche all’esistenza di Giorgio Mori, partigiano di Carrara salito sul palco del Festival prima di Celestini per raccontare la sua esperienza diretta. “Sono del 1923 – ha detto con voce ferma – sono nato senza libertà e ho vissuto l’adolescenza sotto il regime fascista. Ho fatto una scelta giusta andando a combattere con quelli che chiamavano “ribelli”. Poi – ha proseguito – dopo la Liberazione mi sono accorto che per noi non c’era lavoro e così ho scelto la via dell’esilio, lavorando 14 anni in miniera in Belgio. Stavamo sottoterra in condizioni impossibili, c’erano feriti ogni giorno e ricordo benissimo la tragedia di Marcinelle dove ci mandarono ad estrarre i corpi, fra cui quelli dei due minatori di Spezia e dei tre di Carrara. Dopo aver combattuto i nazifascisti – ha concluso – ho ripreso la lotta sindacale in Belgio dove ci sfruttavano”. Storie e tragedie del lavoro poco conosciute e narrate da un interprete mai banale.

(pubblicato su Cittadellaspezia il 5 agosto 2014)

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Radici e bandiere, l’ultimo saluto a Vanda Bianchi

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(@dettobene)

C’erano tutte le persone che hanno fatto parte della sua vita al centro sociale di Castelnuovo per l’ultimo saluto a Vanda Bianchi, la staffetta partigiana “Sonia” ricordata dalla sua gente con una toccante cerimonia scandita da canti e ricordi, che ha ripercorso i tratti più importanti di una tenace esistenza dedicata alla difesa della giustizia e dei valori della Resistenza. C’erano la famiglia e i nipoti, i compagni della lotta di Liberazione, Adelmo Cervi, gli ex deportati, gli artisti e le generazioni di ragazzi accuditi con affetto a scuola e le sei bambine volute per l’ultimo picchetto d’onore attorno al feretro avvolto in un drappo della Brigata Muccini, in una sala troppo piccola per contenere la commozione di tutti coloro arrivati per dedicarle un pensiero e un saluto a pugno chiuso.
Presenti anche rappresentanti delle Istituzioni e amministratori – molti sindaci e gli assessori regionali della provincia – Fiasella, il senatore Caleo e il Ministro Andrea Orlando, rimasto al fianco della famiglia fino alla fine delle esequie. A loro Vanda non mancava mai di ricordare con fermezza l’importanza della Costituzione, mentre ai giovani trasmetteva l’energia e l’entusiasmo che le avevano permesso di superare un’infanzia di povertà e una giovinezza di guerra. Donna minuta ma tenace che ha lasciato una traccia importantissima nella comunità. “Il testimone della tua battaglia è affidato a tutti noi” ha sottolineato in apertura il primo cittadino castelnovese Daniele Montebello il quale l’ha ricordata “antifascita di nascita” come riportato nell’onorificenza attribuitagli anni fa dal Comune. A nome della famiglia è invece intervenuta la nipote Magherita Antonelli: “Ci raccontava della Seconda Guerra Mondiale con intelligenza e lungimiranza – ha ricordato con emozione – ci diceva sempre di non smettere mai di credere e di sperare, sono sicura che quanto ha fatto in questi anni non sarà mai dimenticato”. Come Vanda non dimenticava i caduti ai quali rendeva omaggio ogni anno nelle diverse ricorrenze con il percorso dei cippi dove saranno distribuiti i tanti fiori che hanno decorato la sala, tappezzata dai tricolori a lutto, dal rosso delle magliette e delle tante bandiere dell’Anpi, del Pci e di Che Guevara. Vessilli radicati nella storia di questo territorio e saldamente legati all’esistenza di Vanda, ricordata nella sua umanità da Luca Marchi per l’Anpi e da Elsa Barbero, moglie di Nanni, che ha evidenziato proprio lo sventolio fuori dagli schemi del fazzoletto al termine della sua apparizione alla trasmissione “Quello che non ho” quando tutta l’Italia conobbe al vicenda di “Sonia”, la figlia del sovversivo Sepioneto.
Con la voce rotta dall’emozione ha speso per lei parole molto significative l’ex sindaco Marzio Favini che non ha esitato a definirla “Una colonna, un punto di riferimento che ha contribuito alla costruzione della comunità. Donna straordinaria, amica e nonna di tanti ragazzi”. Fra i tanti anche quelli del ‘MaR’ di Fosdinovo e “Archivi della Resistenza” rappresentati da Simona Mussini, a loro aveva raccontato episodi ed aneddoti della Resistenza affinché potessero essere ricordati e divulgati a tutti. Testimoni di quei giorni di battaglie erano stati invece Luigi Fiori e Giuseppe Cargioli, partigiani che hanno ricordato Vanda come “una grande donna e una grande partigiana”. Grandezza divenuta memoria da raccontare come storia di questi luoghi, delle sue radici e delle sue bandiere.

(pubblicato su Cittadellaspezia il 3 agosto 2014)

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Buon viaggio Partigiana Sonia

Vanda Bianchi

(@dettobene)

Due anni fa quando Fabio Fazio la invitò alla trasmissione “Quello che non ho” per raccontare la parola Resistenza, Vanda Bianchi disse “Chi lotta e chi continua a resistere non invecchia mai”. Uno spirito che ha accompagnato tutta la sua esistenza fino a ieri quando ad 88 anni si è arresa, forse per la prima volta nella sua vita, ad una malattia che se l’è portata via in pochi mesi. Figlia di Sepioneto, “sovversivo” perché mai allineato al fascismo durante la dittatura, Vanda era cresciuta a Castelnuovo Magra vivendo sulla propria pelle la miseria e l’emarginazione dovute alle condizioni del padre, maturando quei sentimenti di giustizia e libertà che con il nome di battaglia “Sonia” l’avrebbero portata ad essere staffetta partigiana durante la lotta di Liberazione. Come molte altre donne della Val Di Magra Vanda era stata il raccordo fondamentale fra i combattenti e i centri abitati, spostandosi a piedi fino a Sarzana o a Parma in bicicletta, attraversando i paesi portando viveri, armi e documenti, rischiando la vita ogni giorno.

Un’esperienza che ha segnato tutto il suo cammino, proseguito dopo la fine della guerra insegnando i valori della Resistenza a tutti gli studenti incontrati in trent’anni di attività come bidella o in ogni cerimonia, evento o manifestazione a cui ha preso parte. Il freddo vento castelnovese che accompagna ogni mattina del 29 novembre, non le ha mai impedito di essere presente in piazza Querciola per il tradizionale giro dei cippi per i caduti nell’anniversario del tremendo rastrellamento del 1944. “E’ importante esserci sempre” diceva avvolta nel fazzoletto rosso della ‘Brigata Garibaldina Muccini’ fieramente annodato al collo. Lo toglieva solo per mostrarti con orgoglio le firme dei generali dell’esercito americano che le avevano reso omaggio durante una commemorazione, prendendo spunto per un racconto o un aneddoto su quei giorni, chiedendo magari conferma all’amico Luigi Fiori ‘Fra Diavolo’ o a Giuseppe Cargioli detto ‘Sgancia’. Compagni di una lotta che metteva uno contro l’altro anche compaesani e vicini di casa. “In tempo di guerra – rivelava – riconoscevi gli amici dai nemici da come ti guardavano negli occhi” e il suo sguardo rispecchiava sempre l’entusiasmo e la voglia di fare di uno spirito forte e instancabile, lo stesso che ha sempre portato sul palco del Festival “Fino al cuore della Rivolta” al Museo di Fosdinovo o alla festa del 25 aprile con i ragazzi di “Archivi della Resistenza” che in questi anni hanno documentato la sua vicenda e quelle degli altri superstiti le cui gesta avevano ridato dignità a questo Paese.

Costretta a crescere in fretta per avere pane e libertà, Vanda aveva sempre avuto un rapporto speciale con i giovani perché in loro riponeva fiducia e speranza, li teneva vicino a sé, come una nonna o una persona di famiglia. “Non è vero che i giovani sono tutti da buttare – spiegò a Voci della Memoria – qualcuno è veramente in gamba, ha voglia di dire e di fare, di far conoscere e non far dimenticare. Non si può passar sopra a queste cose, vorrei trasmettere loro tutto quello che sento dentro – diceva – per me è come una fiamma che vorrei passasse ai giovani”. Fiamma che oggi brilla più che mai mentre sembra di vederla ancora mentre sventola il suo fazzoletto dicendo “Sono figlia di un sovversivo e vecchia staffetta partigiana”.

(pubblicato su Cittadellaspezia il 31/07/14)

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Daniele Silvestri fino al cuore della rivolta. Il concerto a sorpresa al festival di Fosdinovo

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di Benedetto Marchese (@dettobene)

(pubblicato su Cittadellaspezia il 5 agosto 2013)

Nel pomeriggio sulla propria pagina Facebook l’aveva annunciata come una tappa “imprevista ma dolcissima” e così è stato. Ospite a sorpresa della nona edizione del festival della Resistenza “Fino al cuore della rivolta” di Fosdinovo, Daniele Silvestri ha fatto una piccola deviazione sulla strada del tour che solo pochi giorni fa lo ha visto esibirsi nella sua Roma davanti a a migliaia di fan. La sua presenza al Museo Audiovisivo della Resistenza era stata invece tenuta segreta fino all’ultimo, pubblicizzata solo attraverso il passaparola che ieri sera ha permesso a tantissime persone di sistemarsi a pochi centimetri dal palco fra i castagni delle Prade, per vedere dal vivo il cantautore che in questi giorni ha pubblicato su Spotify il suo nuovo singolo “Stizziscitici”.

Un concerto inedito, senza una scaletta precisa ma arricchito dalla presenza di Lisa Lelli. Attrice e moglie del cantante, che sulle note del brano “Le navi” ha aperto la serata leggendo le parole di Francesca Rolla, protagonista dell’insurrezione delle donne carraresi nel 7 luglio 1944.

“Per me è un grandissimo piacere essere qui stasera – ha detto Silvestri – è stata annunciata come una sorpresa e lo è anche per noi a tutti gli effetti. Ci hanno coinvolto e sono molto contento che sia successo, come sono contento che ci sia Lisa a leggere qualcosa visto che suo nonno, il grande ‘Ardito’, è stato ed è uno dei partigiani di questi luoghi e di queste terre e credo che lo rimarrà per sempre”. Poche parole per spiegare un coinvolgimento non solo artistico ma anche ideologico, che ha contribuito a creare un’atmosfera molto significativa, alla presenza anche della “Partigiana Sonia” e del “Comandante Fra’ Diavolo” – ovvero Vanda Bianchi e Luigi Fiori – inossidabili protagonisti e testimoni di quella lotta che il festival e Archivi della Resistenza ogni anno contribuiscono a mantenere viva con incontri, dibattiti e concerti. “Prima dei vent’anni anche noi eravamo indifferenti – hanno sottolineato rivolgendosi ai giovani presenti con la voce rotta dall’emozione – ci siamo fatti cinque anni di guerra, abbiamo pagato a caro prezzo la nostra indifferenza. Non fate lo stesso errore”.

Un monito che Daniele Silvestri, accompagnato dalla sua band, ha tradotto in musica pescando dal suo repertorio brani come “Prima di essere uomo” e “Strade di Francia”, “Questo paese” e l’attualissima “Che bella faccia”. Poi il ritorno dell’emozionata compagna per la lettura della poesia “Staffetta” di Paolo Bertolani che è un po’ il manifesto di una manifestazione nella quale si respira un’aria particolare e preziosa. Perfetta per brani come “Il mio nemico” e “A bocca chiusa” prima del bis di “Testardo” e il finale obbligato con “Cohiba”. Epilogo perfetto per una notte imprevista con un cantautore che al talento unisce anche l’impegno, quello vero.

(foto gentilmente concessa da Nicola Giannotti)

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