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Il concerto di Manu Chao a Sarzana

di Benedetto Marchese

“Ciao Sarzana, è bello essere qui cento anni dopo la resistenza contro il fascismo”. Manu Chao si è preso così Piazza Matteotti, ancora prima di attaccare il primo pezzo, ricordando i fatti del 21 Luglio 1921 appena celebrati da una città che questa sera ha vissuto uno di quegli eventi che valgono una stagione intera.
Con una piazza gremita – nei limiti di quanto concesso dalle norme – le persone alle finestre, i locali pieni e la gente assiepata anche nelle vie limitrofe. Ma soprattutto con un’atmosfera carica di attesa ed entusiasmo che non si respirava da tanto tempo, periodo pre covid incluso.
Merito del neo sessantenne cittadino del mondo, riapparso in Italia per il ventennale del G8 e invitato a chiudere con un sold out da ricordare la terza edizione di Moonland, festival che in una settimana ha rimesso Sarzana al centro dell’attenzione del pubblico dei concerti. Un carisma intatto il suo, capace di riportare tutti indietro alla spensieratezza ma anche alle ferite di inizio Millennio.
Ricordi più che nostalgia, ed emozioni da trasmettere ai figli che tanti hanno voluto con loro per vedere dal vivo l’iconico inventore della patchanka, capace di trascinare tutti per oltre due ore anche in versione acustica, accompagnato da Luciano Falico alla chitarra e Mauro Mancebo alle percussioni, con l’aggiunta in alcuni brani del trombettista spezzino Andrea Paganetto, ingaggiato all’ultimo minuto.

Una platea carica fin dai primi minuti ma che si infiamma quando Manu attacca “La vida tombola” dedicata a Diego Armando Maradona e subito dopo “Mr.Bobby” per Marley a cui dedica anche “Iron, lion, Zion”.
Con l’immancabile tema di Pinocchio a scandire ogni pezzo la scaletta passa in rassegna tutti i brani più famosi e coinvolgenti come “Malavita”, “King of the bongo” e gli altri di “Clandestino”, album che segnò un’epoca conquistando anche le classifiche.
Con la gente ormai tutta in piedi da un po’ sventolano in prima fila le bandiere di Palestina e Paesi Baschi, magliette dell’Argentina e del Boca Juniors, mentre sul palco Manu Chao suona con con un fazzoletto partigiano adagiato vicino alla chitarra. Un coro in ricordo di Carlo Giuliani diventa così una dedica che precede “Como que no”, mentre dopo l’ennesimo saluto il cantante torna sulle note di Bella ciao per regalare l’ultima “Licor Cafè” ad una piazza entusiasta ed emozionata per la grande serata vissuta.
“Grazie Sarzana antifascista” saluta definitivamente Manu Chao, dando la sensazione di poter continuare senza problemi fino a notte fonda, con lo stesso sorriso e la voglia di regalare canzoni alla sua gente, testimone di un concerto storico.

(Pubblicato su Cittadellaspezia il 26 Luglio 2021)

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Fabrizio De Andrè a Sarzana: il concerto, la piazza e i ricordi

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(@dettobene)

“Non sono capace di recitare, mi considero un suonatore di chitarra. Non credo di essere l’interprete ideale per le mie canzoni”. La voce fuori campo è inconfondibile, così come lo è la figura che passeggia alla Fortezza di Sarzanello o in via Mazzini. Camicia rossa, jeans e l’immancabile sigaretta in mano: Fabrizio De Andrè si racconta così ai microfoni della Rai il 29 agosto del 1981 a poche ore dal suo concerto a Sarzana.
Un documento che anche oggi, nel giorno della su nascita, testimonia un passaggio importante e l’inizio di una storia culminata il 24 ottobre del 2009 con l’intitolazione di una piazza al cantautore genovese che era molto legato a Sarzana e al nostro territorio. “La frequentava spesso per motivi personali, fermandosi sempre volentieri quando andava a Carrara – racconta Mimmo Iorio, memoria storica di tutto ciò che riguarda Faber in Val di Magra e non solo – in zona ci sono molte cose che riguardano Fabrizio e la sua vita”.
Ci sono innanzitutto le immagini che lo ritraggono mentre chiacchiera con i fan e guarda dall’alto una città in espansione. Sfondo per le riflessioni sulla sua voglia di emergere in una famiglia medio borghese e sui dubbi e le incertezze del suo essere artista: “Quando noto delle carenze nella capacità di sintesi -rivela De Andrè mentre scorrono le immagini delle prove- mi faccio aiutare da chi è più giovane come fece anche Dylan in ‘Desire’. Credo di essere sempre riuscito a fare meglio i testi delle musiche, questo è un grosso limite. L’unico che è riuscito a cucire le due cose è Lucio Dalla”.
Del suo passaggio a Sarzana restano ovviamente anche la musica e i testi del tour dell’album l’Indiano che avevano caratterizzato l’esibizione del Miro Luperi, dove lo avevano accompagnato fra gli altri il figlio Cristiano, Mauro Pagani, Pepi Morgia e Massimo Bubola nel duetto di “Una storia sbagliata”.
“Negli anni scorsi – prosegue nel racconto Mimmo – ho impiegato quasi due mesi per riuscire a risalire al nome di chi aveva portato De Andrè a Sarzana. Era stato Paolo Bedini che all’epoca aveva solo diciannove anni ma era riuscito a contattarlo curando ogni minimo dettaglio. Quando finalmente i due si incontrarono, trovandosi di fronte un ragazzo così giovane, Fabrizio gli disse sorridendo: “siamo tranquilli?”. Paolo, che in seguito avrebbe organizzato altri eventi molto importanti, era molto agguerrito, aveva contattato anche la Rai per le riprese di quello che fu il suo primo concerto ad essere registrato, seguito molto tempo dopo da quello del Brancaccio. De Andrè si fermò per alcuni giorni con Dori Ghezzi alloggiando alla Locanda dell’Angelo. Qui stava molto bene e ci passava spesso, qualche anno fa qualcuno lo notò fra il pubblico ad un concerto nell’area di Gerardo. Io andai a trovarlo anche in Sardegna mentre nel ’98 gli inviai una bottiglia di “Creuza de mà”, vino delle Cinque Terre che gli era stato dedicato”.
Pochi infatti possono vantare un numero di riconoscimenti simile a quello di Faber al quale sono state intitolate scuole, strade, teatri, parchi, targhe e premi. Anche molte piazze, una delle quali a Sarzana, proprio grazie all’impegno di Mimmo Iorio e di tutti coloro che nel 2009 hanno avviato le procedure necessarie. “Avevamo iniziato la raccolta firme per far parlare della cosa – spiega Mimmo – ma non ci saremmo mai aspettati di arrivare a 5500 adesioni. La gente arrivava all’Arci con i moduli pieni e ne chiedeva altri: da Paolino Ranieri a Don Gallo, da Fiorella Mannoia a Piero Pelù tutti hanno dato il loro contributo. Anche Fabio Fazio, il quale firmando disse: “E’ importante che ci sia una piazza con il suo nome perché un giorno un ragazzo leggendolo andrà a scoprire e ad ascoltare le sue canzoni”.
L’iniziativa aveva trovato subito l’adesione del Prefetto che aveva dato l’ok raccogliendo l’invito della Giunta Caleo, ed era diventata realtà con l’inaugurazione nella piazza di via Landinelli alla presenza di tutte le autorità e della moglie”.
Mimmo e De Andrè si erano conosciuti qualche anno prima prima, dopo la data all’Astra della Spezia, quando nel 1993 aveva girato l’Italia con un tour caratterizzato da brani dedicati alle donne. “In quell’occasione Dori cantava nel coro – ricorda – mentre con lui mi ero trovato casualmente dietro le quinte. Cosa capitata diverse volte, anche in occasione di uno dei suoi ultimi concerti, proprio al Picco”. Era il 7 agosto 1998 e chi c’era la ricorda ancora come un’esibizione intensa ed emozionante con Faber già malato che il giorno dopo ad Arenzano tenne il suo ultimo concerto in Liguria.
“C’era un clima malinconico, mi ricordo che nel pomeriggio stavo parlando con Mauro Pagani quando lui apparve sul palco, da solo con la sua sigaretta, sapevamo già tutti della sua malattia. Al Picco si era esibito due volte, ma da giovane aveva frequentato spesso piazza Brin. Arrivava da Genova con un amico e andava da Biso a portare i suoi dischi da vendere. Erano gli inizi della carriera, eppure vendeva già più di Battisti”.
Oggi Fabrizio De Andrè avrebbe 74 anni e se fosse ancora qui potrebbe capitare di incontrarlo a passeggio in via Mazzini come in quel pomeriggio del 1981 quando sottolineava: “Siamo quasi tutti artisti ma non abbiamo il tempo o l’opportunità di esserlo”. Può darsi, ma Faber era uno solo.

(pubblicato su Cittadellaspezia il 18/02/14)

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The Bluebeaters, ritorno a Firenze

The Bluebeaters

Benedetto Marchese (@dettobene)

In questi primi vent’anni della loro storia ho avuto il piacere di vedere i Bluebeaters un po’ ovunque: dalla prima volta, ormai un secolo fa, nell’indimenticabile Maffia di Reggio Emilia, all’ultima durante l’International Ska Festival di Londra prima di uno straordinario Ken Boothe. Ricordo una data natalizia nello strapieno Dlf di Genova e un’altra a Sarzana a due passi da casa, ma con Firenze avevo un conto in sospeso da parecchio tempo, più o meno dal 2001 quando ero rimasto fuori dal Flog senza biglietto. Allora c’era Bunna che lasciava il basso solo per cantare “Coming from the cold” e l’atmosfera era ancora quella degli inizi con i rudeboys in prima fila. Negli anni successivi Ferdi e compagni sono sicuramente tornati nella città toscana ma io ho sempre lasciato perdere, fino a due giorni fa quando proprio al Flog hanno chiuso questa prima parte del loro “ReTour”. Dieci date dopo qualche mese di silenzio, con una nuova formazione, spirito delle origini e rinnovato entusiasmo. Impossibile rinunciare dopo aver visto qualche video e aver letto e sentito i racconti di chi aveva assistito alle esibizioni precedenti. Un’attesa ripagata da quasi due ore travolgenti di rocksteady e sudore.

The Bluebeaters

Pronti, via ed è subito “Artibella” seguita da due estratti dal mitico “The Album”. Pat Cosmo al centro della scena è la prima grande novità, la seconda è “The Model” dei Kraftwerk, ovviamente stravolta rispetto all’originale ma resa alla perfezione dal vivo.

A meno di un mese dalla (ri)partenza i Bluebeaters viaggiano già alla grande, con Sheldon e Ferdi a dettare i tempi e Cato a tenere unito il gruppo. Mr T-Bone si alterna fra trombone e microfono dando il meglio su “Dance crash” e lo strepitoso omaggio a Franco Micalizzi con “Lo Chiamavano Trinità”, che introduce sul palco Maya “Lady Soul” la cui interpretazione di “Cry to me” di Solomon Burke impreziosisce una scaletta già ricchissima.

Il mood è perfetto per l’ingresso di Bunna che si presenta con “Roots & Culture” proseguendo con altri classiconi come “Coming from the cold”, “Carry go bring come”, “Simmer Down” e “Moneky man” con la sezione fiati in perfetto stile giamaicano completata da Parpaglione che trascina il pubblico sotto il palco. Ce ne sarebbe abbastanza per tornare a casa contento e dimenticare quel maledetto sold out, ma mi perderei altre chicche come “Revolution Rock” e la sorprendente “Toxic” di Britney Spears che esalta la presenza scenica di Pat Cosmo, sostituto al piano da Peter Truffa. Le sue qualità vocali erano già note ma il nuovo ruolo di frontman gli sembra cucito addosso per l’energia e il carisma che trasmette. Colonna portante di un progetto ripartito con umiltà ma anche con il talento di sempre e la consapevolezza di poter proseguire su questa strada verso altri tour, inframmezzati magari da una tappa in sala di registrazione.

The Bluebeaters

Per ora solo un auspicio mentre Maya apre la serie dei bis con “My Boy Lollypop” seguita da “Boggie in my bones”, “Shame and scandal” e “There’s a reward” prima dell’esilarante balletto finale. Un ritorno alle origini vero ed emozionante, con tanta passione e senza protagonismi.

Arrivederci Firenze.

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Colle der Fomento e Sergio Leone sul palco

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di Benedetto Marchese (@dettobene)

Quando l’uomo con la pistola incontra quello con il fucile si sa come va a finire, ma se uno dei tuoi gruppi preferiti cita un’icona del nostro cinema allora la trama assume contorni ben diversi, profondi ed emozionanti, come le due espressioni di Clint Eastwood. Il finale, che in realtà è un prologo, lo hanno sceneggiato meravigliosamente i Colle der Fomento, tornati una settimana fa con il nuovo singolo “Sergio Leone” e soprattutto con un video inedito -realizzato da Videoaddicted e recitato con la complicità di Kaos One e Dj Craim- che ha rotto un’attesa lunga quindici anni. Danno e Masito infatti non apparivano in un clip ufficiale dai tempi di “Vita” e “Il cielo su Roma”, dato che per l’ultimo album “Anima e ghiaccio” non ne erano stati realizzati. Girato negli spazi occupati del Communia di San Lorenzo l’omaggio al regista romano, esprime nel migliore dei modi lo spirito del trio completato da Dj Baro, con molti richiami sia stilistici che simbolici alla Old School del rap. Kangol, Adidas e ghettoblaster presenti sulla scena contribuiscono ad impreziosire una produzione che sembra un omaggio ai Beastie Boys, con rime come sempre originali e legate fra loro alla perfezione.Un brano pieno di citazioni dei film del maestro e simboli tipici dell’iconografia western: gli speroni, il Winnchester e i mozziconi. “Nella competizione tu te pensi Tarantino, io so Sergio Leone” canta Danno, scandendo la differenza fra chi cita e, in parte, si appropria della storia e chi questa l’ha fatta in una lunga carriera senza compromessi e sempre orientata alla ricerca della perfezione stilistica. Anche in una fase dell’hip hop in cui un buon ufficio stampa, tatuaggi in vista e frasi semplici semplici possono garantire parecchio in termini di vendite ed apparizioni.

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L’ultimo disco del Colle risale invece al 2007 ed il prossimo, attesissimo dopo i tanti rinvii, arriverà solo in autunno. Loro hanno deciso di non parlare né di questa ultima uscita né del nuovo lavoro almeno fino a settembre, concentrando tutta l’attenzione sul singolo appena uscito e dedicandosi come sempre all’attività live. Non sui palchi dei reality o dei vari programmi televisivi ma su quelli più genuini delle jam, nei centri sociali (questa sera Good Old Boys da non perdere al Forte Prenestino) o nei festival indipendenti. Come sabato scorso al The Jungle di Cascina (un cartellone davvero ottimo) dove hanno presentato dal vivo per la prima volta il nuovo pezzo e riproposto un’accurata selezione del loro repertorio, pescando da “Odio Pieno” fino ad una versione attualissima di “Piombo e fango”. Rivedendoli dal vivo dopo quasi quattro anni (l’ultima in un Mday stracolmo) con enorme soddisfazione ho ritrovato intatte la presenza di Danno e l’imperturbabile precisione di Masito, gli scretch di Baro e l’atmosfera unica che riescono a creare brani come “Ciao ciao”, “Capo di me stesso” o “Benzina sul fuoco”. Veterani con la fame da principianti, su uno spazio piccolo e buio a pochi centimetri dalla loro gente che ha seguito a memoria ogni strofa, applaudendo anche quando è saltata la corrente una prima volta e proseguendo “Il cielo su Roma” quando piatti e microfoni sono rimasti muti una seconda volta. I ragazzi hanno ‘accerchiato’ il Colle con affetto ed entusiasmo nonostante i continui blackout che non hanno minimamente scalfito la pazienza di chi non ha mai snaturato la propria attitudine underground. Sempre veri in una scena che “misura la musica in giga” o in visualizzazioni su Youtube e che nella connessione dalla strada alla Rete ha perso forse qualcosa in termini di purezza e rispetto. Sono andati a letto presto per qualche tempo ma ora sono pronti per riprendere la propria battaglia verbale armati di microfono e favella.

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Morrissey, l’eterno ragazzo che ha scaldato i cuori di Genova

di Benedetto Marchese (@dettobene)

Nell’estate delle reunion e dei grandi ritorni, dagli Stone Roses fino a New Order e Cure, qualcuno aveva sperato di poter rivedere sullo stesso palco gli Smiths ma la band di Manchester probabilmente non tornerà più per volere dei suoi stessi protagonisti. Il tour di questi giorni in Italia del carismatico leader Morrissey è stato però qualcosa di più di una semplice consolazione per i tantissimi fan del gruppo che ha segnato indelebilmente la storia della musica anglosassone negli anni Ottanta. Dopo la prima data di Roma la prova è arrivata ieri sera dal concerto che al Porto Antico di Genova ha chiuso la prima parte del Goa Boa Festival che proseguirà nella cornice di Villa Serra dal 13 luglio per altre tre serate.
‘Moz’ si presenta sul palco a pochi metri dal mare accompagnato da un affascinante tramonto sulla Lanterna e le gru del Porto e dal boato di un pubblico in cui molti arrivano da fuori regione. Dopo l’esibizione dell’americana Kristeen Young si prende tutta la scena, saluta in italiano e regala sorrisi ed inchini, stringe spesso le mani che si allungano dalle prime file senza mai rinunciare alle pose che lo hanno reso celebre prima con Marr e compagni e poi nella fortunata carriera da solista. “Shoplifters Of The World Unite”, “You have killed me” e “You’re the one for me, fatty” sono l’introduzione di un viaggio fra musica e parole lungo trent’anni, nel quale s’intrecciano mode, stili e generi che Morrissey ha saputo attraversare conservando la sua indole di divo controverso al quale tutto o quasi è concesso, compreso il divieto di vendere carne all’interno della zona concerto. Vezzi che passano in secondo piano davanti ad un carisma impareggiabile e ad una voce ancora intatta, come dimostrano la splendida “Everyday is like Sunday”, “Still ill”, “Speedway” e “Alma matters”. Guardando al ritratto di Oscar Wilde che sullo sfondo esclama ‘Who is Morrissey?” viene da pensare che per il ragazzo di Stretford il tempo sia passato solo per le camice che ora gli stanno un po’ più strette e che durante il concerto cambia più volte rimanendo anche a torso nudo durante “Let me kiss you”. “Ti guarda negli occhi” sottolinea qualcuno mentre lui canta l’amore e la poesia in un’atmosfera velatamente malinconica, rotta solo dai dialoghi con il pubblico che ne applaude ogni parola, ogni sguardo o movimento coreografico con il filo del microfono, che ascolta “Meat is murder” mentre scorrono immagini che denunciano la violenza sugli animali. Un pubblico che si divide sulla composizione della scaletta, dove forse manca quale pezzo storico degli Smiths ma che dopo “I’m throwing my arms around Paris” e “When Last I Spoke to Carol” si ritrova a cantare “How soon is now?” in un finale da brividi. Cellulari, mani e cuori protesi verso l’eterno ragazzo che ha interpretato emozioni e passioni di due generazioni e che in una notte d’estate si è preso Genova.
(pubblicato su www.cittadigenova.com)

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Casino Royale & The Specials: all’Alcatraz una notte lunga venticinque anni

di Benedetto Marchese

Per coronare il loro sogno di gioventù, quando nell’87 giovani e pieni di entusiasmo avevano  nella loro prima scaletta brani come “Concrete Jungle” e “Do Nothing”, ci hanno messo quasi venticinque anni, ma alla fine i Casino Royale sono riusciti a condividere lo stesso palco con gli Specials che giovedì hanno fatto tappa all’Alcatraz per l’unica data italiana del loro tour europeo. Un’irripetibile notte di fine estate che per poche ore ha finalmente annullato il gap temporale tra Milano e Coventry e fra due band che a loro modo hanno influito prepotentemente sulle rispettive scene musicali con uno stile rimasto intatto negli anni. Gli Specials scrivendo una pagina indelebile nella musica britannica, accomunando con lo ska bianchi e neri nell’Inghilterra divisa dalle tensioni razziali; ed i Casino Royale raccogliendo il testimone dai già divisi Staple e compagni nell’Italia di fine anni Ottanta, prendendo lo spunto per posare la prima pietra dei ritmi in levare di casa nostra, arrivando fino ad oggi senza mai perdere l’ispirazione iniziale nonostante le evoluzioni di generi e formazioni.

Un cerchio chiuso magicamente in una serata iniziata con orari anglosassoni ed aperta dal trombone di Gigi T.Bone, ospite d’eccezione con Ferdi, per l’inconfondibile intro di ‘Casino Royale’ eseguita con ‘Sempre più vicino’ in un mash up da brividi per quanti all’epoca di Soul of Ska andavano alle elementari e vent’anni dopo si sono ritrovati a cantare il ritornello di un pezzo storico. Un momento unico, dopo i tanti concerti in tutte le forme da una parte all’altra dell’Italia, che prosegue con Treno per Babylon, Anno Zero e Royale Sound. Quasi un’istantanea per ogni album, sempre in levare, fino all’epilogo affidato al prossimo singolo ‘Ogni uomo una radio’ al termine di un set tanto breve quanto intenso, suonato fra ricordi, orgoglio e tanta emozione, sciolta negli applausi di un Alcatraz ormai stracolmo di birra ed entusiasmo.

Ci sono due generazioni di appassionati di ska, in una platea compatta come una curva da stadio che attende solo che dal telo bianco sul palco sbuchino gli eroi di quelle canzoni ballate ovunque, conosciute a memoria, passate dai vinili alle cassettine duplicate da fratelli ed amici, fino ai cd e agli mp3, sempre con la stessa energia travolgente. Loro accennano ‘Enjoy yourself’ e finalmente iniziano con ‘Do the dog’ mentre il palco svela l’iconografica scritta “The Specials” e sotto scattano pogo e adrenalina con ventenni e rude boys di mezza età fianco fianco.

Completi eleganti e volti segnati dal tempo, ma il tocco degli Specials è sempre lo stesso: Gangsters, It’s up to you, Rat race, Monkey man,  Hey little rich girl, Concrete jungle, Blank Expression fra le altre hanno la stessa freschezza di un tempo,  con la voce intatta di Terry Hall che su Do Nothing regala più di un brivido ai fan di una vita. Di quei due album storici ciascuno ha i propri pezzi preferiti, ma l’Alcatraz quasi trema quando dall’armonica Lynval Golding inizia “A message to you Rudy”, seguita da “Two much to young” ed “Enjoy yourself”. Abbastanza per andare a casa soddisfatti, stravolti dal caldo e dalle emozioni dopo tre ore di musica da conservare nel cuore, ma gli Specials riappaiono dalle quinte per regalare altre due perle indimenticabili: “Guns of Navarone” e “You’re Wondering Now”. You know this is the end, occhi lucidi ed un sorriso stampato sul volto.

 

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IELMO!

L’estate inizia con “Io e la mia ombra”

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Tre Allegri Ragazzi Morti in dub

di Benedetto Marchese (@dettobene)

Come un 45 giri made in Jamaica negli anni Settanta, giri il lato e ritrovi lo stesso brano, lo stesso gruppo riarrangiato in versione dub. “Primitivi del futuro” il sesto album dei Tre Allegri Ragazzi Morti uscito da poche settimane, fa un po’ lo stesso effetto, suonando in modo decisamente diverso dai precedenti e lasciando solo momentaneamente perplessi gli amanti delle sonorità più tipicamente pop-punk del trio di Pordenone. Una piccola svolta alla quale ha contribuito Paolo Baldini, musicista e produttore di B.r. Stylers, Dub Sync ed ora in tour con gli Africa Unite, il quale ha avuto sulla band di Toffolo, Molteni e Masseroni, lo stesso impatto che Mikey Dread ebbe sui Clash all’epoca di Sandinista. Un sound il cui risultato è perfettamente espresso nella title-track che ha aperto anche il loro concerto al Baraonda del Cinquale dove pochi giorni fa i Tarm sono tornati a distanza di tredici anni dalla prima volta. “Allora si vedevano le mattonelle bianche e nere” sottolinea Toffolo, ora invece la gente di accalca fino a pochi centimetri dalle maschere e dagli strumenti ed inizia ad ondeggiare sulle prime note di “Primitivi del futuro” e sulle parole che descrivono “Cacciatori raccoglitori, beoni spacciatori, contadini dissidenti, puttane felici e giocatori”. L’impatto è particolare ed inatteso, ma il lento ritmo in levare coinvolge gambe e teste che non si fermano e ascoltano dell’amore “Che non uccide ma assomiglia molto alla fame” e delle riflessioni sull’adolescenza del primo singolo “Puoi dirlo a tutti” , che anticipa una prima parte di concerto dedicata ai nuovi brani fra i quali spicca “L’ultima rivolta nel quartiere Villanova non ha fatto feriti” , la cui traduzione live sembra estrapolata da una serata dei primi anni Ottanta al Roxy di Londra. “La salamandra”, ispirata da Alda Merini, è un intermezzo nell’esecuzione dei nuovi brani che coinvolgono un pubblico eterogeneo nel quale si confondono anche parecchi fans arrivati da lontano. Da lì a poco, come in un perfetto Punkyreggaeparty, il suono si fa più veloce, la chitarra resta sempre in levare ma l’attitudine torna ad essere quella più nota dei Tre Allegri Ragazzi Morti che propongono in serie “Il mondo prima”, “Ogni adolescenza” e “Prova a star con me un altro inverno a Pordenone” che mescolano le file, agitano un pogo che sfiora i quattro mascherati senza mai toccarli, che si ferma solo poco dopo per lo splendido medley che mette in fila 15 anni, Karaoke e 1994. Nel buio del Baraonda brillano i teschi e risuonano i riverberi dub di uno dei passaggi più belli dello show che si chiude con i classici “Mio fratellino ha scoperto il rock and roll” e “Occhi bassi”, prima del bis “Puoi dirlo a tutti”. Anche nella nuova veste lo spettacolo della vida e della muerte continua ad essere affascinante e coinvolgente con le sue contaminazioni in stile Clash e le innate radici punk.

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