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L’ultima partita a porte aperte

di Dettobene

L’atmosfera è strana, incerta e un po’ surreale. Probabilmente l’ultima partita a porte aperte del calcio italiano poteva capitare solo a noi che di situazioni balorde ne abbiamo vissute parecchie, tipo a Pescara costretti a star fuori perché non ci facevano i biglietti, o a Cesena la sera di Raciti.
In fondo non mi sorprenderei di arrivare sotto la Ferrovia e sentirmi dire “è cambiato tutto, non si può entrare”. Fortunatamente non è così anche se il clima è diverso e non c’è coda, alla fine sono le ultime quattro ore che si possono passare in mezzo a un po’ di gente.
A fianco a me al cancello un gruppo di ragazzi si sente dire dallo steward “non potete entrare, non avente quindici anni”, “perché? siamo sempre entrati” ribattono loro con documento e biglietto alla mano. Ma dai? Oltretutto stasera con sta situazione? Poi non sono mica dei bimbetti. Mentre loro si guardano indecisi se andarsene, mi vengono in mente i racconti degli amici che hanno vissuto il calcio senza tornelli e biglietti nominali – quello che io ho conosciuto al tramonto – quando i fanti entravano col primo signore che gli capitava a tiro. Allora prendo sotto braccio un ragazzo e dico allo steward “lui è mio figlio, entra con me”. La risposta è uno sguardo perplesso ma Davide mi viene dietro e ne prende un altro “lui è mio figlio, lo accompagno io” e così fa il tizio davanti che ha seguito la scena, altri due o tre nel frattempo si infilano mentre lo sguardo dello steward è rassegnato.
Tutti dentro, c’è da veder vincere gli aquilotti.

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Buon viaggio Ramon

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(@dettobene)

“Ti ci ritrovi dentro e non sai nemmeno perché”, una sensazione più che un’idea sensata, che accomuna tutti coloro che negli ultimi quarant’anni si sono ritrovati almeno una volta a seguire lo Spezia in trasferta o al Picco, a soffrire, gioire o a rischiare qualcosa insieme ad altri ragazzi magari sconosciuti o lontanissimi per età, ideologie ed estrazione sociale ma legati indissolubilmente dalla stessa passione. È stato così anche per Ramon Bertucci, uno dei pochi veri leader riconosciuti, stimati e rispettati da tutti, anche dai nemici, che questa tifoseria abbia espresso nel corso della sua storia sempre caratterizzata dalla presenza di un gruppo solido più che da singoli condottieri.
Lui è stato uno di questi a partire dai primi anni Ottanta e per lungo tempo, guida carismatica della curva e interprete di quello spirito ruvido e orgoglioso che ha sempre caratterizzato gli Ultras Spezia, fino a questa mattina quando il suo cuore tormentato da anni di malattia si è fermato per sempre consegnando la sua esistenza all’epica viscerale e un po’ scorbutica di questa squadra e della sua gente che oggi lo ricorda con emozione, dai più giovani cresciuti con i racconti delle sue imprese, ai suoi coetanei. Un gruppo di giovanissimi, tutti classe 1967, che all’epoca vennero definiti “Gli Ultras di Ramon” proprio per la fedeltà a quella figura che incuteva timore negli altri e sicurezza agli amici, imponente, duro ma sempre impeccabile. Insolitamente elegante nel suo completo bianco o nell’impermeabile chiaro mentre bomber e giacconi sgargianti erano il simbolo di quegli anni in cui i propri colori, soprattutto i vessilli, andavano difesi nel vero senso della parola ogni domenica, soprattutto in trasferta dove il coraggio veniva prima delle parole e la reputazione si costruiva con i fatti. Con i suoi ragazzi aveva tenuto alto il nome degli Ultras Spezia da Carrara a Lucca, da Reggio Emilia a Trieste e in ogni luogo che aveva visto scendere in campo gli aquilotti in campionati raramente entusiasmanti. E proprio loro, i suoi fedelissimi, gli sono stati sempre vicini in questi ultimi anni segnati da una malattia che lo ha reso indifeso e vulnerabile ma senza mai sopirne l’ardore in quello sguardo che brillava in ogni occasione in cui una torcia illuminava sciarpe o striscioni oppure quando la curva si riuniva per occasioni particolari, nel quarantennale degli Ultras Spezia del novembre scorso quando gli venne dedicato un applauso emozionante o solo poche settimane fa per la festa di Ceparana.
In una vita caratterizzata dall’amore per la maglia bianca, ha sempre avuto al suo fianco la moglie Teresa angelo custode e madre di sua figlia Jennifer, che ne aveva assorbito la forza e il carisma nei momenti più duri dedicandogli ogni istante con amorevole cura, portandolo al Picco, a San Siro o a Chiavari come nell’ultima occasione, tenendolo sempre a stretto contatto con la sua passione che aveva espresso anche al termine del viaggio in moto a Capo Nord, esibendo l’immancabile sciarpa degli Ultras dei quali aveva scritto pagine indelebili, conquistandosi anche una solida fama anche al di fuori della città e delle categorie viste con lo Spezia. Aveva infatti frequentato spesso anche la Curva Nord dell’Inter e la Gradinata Sud della Sampdoria, mentre l’anno scorso, nel periodo della malattia, gli ultras della Roma gli avevano dedicato uno striscione molto affettuoso incoraggiandolo a non mollare. Pensieri e preghiere che gli amici di sempre e tutti coloro che negli ultimi trent’anni hanno condiviso la sua stessa passione, hanno portato avanti con ostinazione fino a ieri senza mai perdere la speranza e il coraggio come lui aveva insegnato loro, sempre fedele a se stesso e al suo modo di essere. Gli stessi che in queste ore si stringono attorno alla sua famiglia.

“Ti ci ritrovi dentro e non sai nemmeno perché – scrisse sul libro che racconta la storia del tifo spezzino – da lì passione, treni, a volte pullman e ancora treni, chilometri su chilometri in nome di quella maglia bianca che ti prendeva in maniera indescrivibile e riassumibile solo con: passione. Ed è così che la tua giovinezza cambia, tutto ti prende e modifica il tuo modo di essere, di vedere le cose e nel bene e nel male inizi a definirti ultras. Domenica dopo domenica – proseguì – anno dopo anno, le facce sempre quelle, pulite, sempre in simbiosi l’una con l’altra tanto da percepirne costantemente sensazioni e stati d’animo”. Una lunga riflessione sui valori del passato e quelli di un presente vissuto più in disparte nonostante una presenza mai banale sintetizzata nel finale: “In definitiva non so’ cosa mi abbia legato a tutto ciò, ma so’ quello che mi manca: “butta una biretta”, “ce l’hai un birillo?” e “A semo in pochi, andemo lo stesso”. Voci sempre presenti”.
Voci innamorate e sincere di un popolo che oggi piange un uomo leale e coraggioso.

(pubblicato su Cittadellaspezia il 6 maggio 2015)

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Appunti su un viaggio a Terni

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@dettobene

il ‘socialismo reale’ di Ciccio; Ciccio che si allontana con un monopattino svanendo nel nulla come Kaiser Soze; la Multipla e il doppio cd dei Clash rimasto lì dall’ultima trasferta; i nuvoloni del perenne stato d’allerta; Luca, Pisa e il trekking alle Seychelles; le lasagne della mamma del Baldo; il Baldo cinico; i racconti di Cavallo; il giovane Diesel che dorme come me; il Diesel che ogni tanto scuote la testa; il telefono moribondo e il Panda insofferente; il Lappe a casa che tribola; la cioccolata alla nocciole; il budello verso lo stadio; ‘i just can’t get enough’ prima della partita; i tre gradini dove bisogna stare uno addosso all’altro; ilGianca&laSonia; Marco in forma e il fante in balaustra; 150 molesti; Ebagua Chichizola la traversa il gol annullato; un punto importante; ‘vi vogliamo così’; ‘tutto lo stadio: perugino pez…’ e tutto lo stadio dietro; tanta roba; saluti; ‘quelli sono spezzini’ ‘oh caselanteeee!!!’; panino metano pizza; Barberino; come Barberino?!!; nooooo; casello di Roncobilaccio; sgomento; il pareggio della Croazia; ‘piove, ormai ci siamo’; Santo Stefano; casa. Riavvolgi, riparti, avanti Aquilotti!.

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Buon viaggio Califfo

Funerale Califfo

(@dettobene)

Ci sarà tutta la Curva Ferrovia domattina alle 11 alla chiesa del Favaro per l’ultimo saluto a Marco Canalini, per tutti “Califfo” scomparso ieri sera all’età di 52 anni, la maggior parte dei quali trascorsi al seguito dello Spezia. “Cali'” solo poche settimane fa era tornato al Picco per l’ultima volta, per vivere ancora l’atmosfera di un luogo in cui nessuno ti chiede cosa fai e da dove vieni, un luogo in cui la passione comune diventa legame fraterno. Lui veniva dal Favaro, quartiere che ha dato tantissimo alla storia del tifo spezzino compreso il gruppo degli ‘Irriducibili’ la cui la chiave inglese al centro dello striscione identifica l’estrazione popolare e saldamente legata alle proprie origini. Con loro aveva girato l’Italia in auto o su pullman sgangherati e oggi proprio quei ‘fratelli’ acquisiti macinando chilometri o cantando al freddo sotto la pioggia in campi sperduti, lo piangono commossi ricordando la sua semplicità, quel fisico esile, la voce roca, il sorriso e la barba grigia sopra il volto scavato dalla vita. Ha visto crescere tutti gli ultras che negli ultimi trent’anni hanno alzato al cielo una sciarpa aquilotta e con poche parole e una presenza discreta ma costante gli ha insegnato ad amare la maglia più dei giocatori, dei risultati e delle mode. I più giovani lo chiamavano ‘nonno’ e lui non mancava di prenderli in giro con l’ironia che lo ha sempre contraddistinto.
Fiero del suo quartiere e della sua tradizione di sinistra frequentava attivamente il Circolo Arci e la Skaletta ed era un membro aggiunto dei VisiBì che lo ospitavano spesso durante le loro esibizioni.
Da domani il suo nome andrà ad aggiungersi a quelli di Mirco, Ilaria, Mattia e tutti gli altri presenti nel murales all’ingresso della Curva Ferrovia, mentre il suo ricordo resterà nelle persone che lo hanno conosciuto sui gradoni del Picco o per le strade del Favaro. (08/10/14)

Se non ci fosse stato il carro funebre ad indicarne inequivocabilmente il motivo, il corteo di questa mattina al Favaro avrebbe potuto essere scambiato per uno dei tanti che in questi anni hanno accompagnato le partite più importanti o i momenti storici nella storia dello Spezia Calcio. La presenza del feretro di Marco Canalini detto ‘Califfo’ davanti a parenti, amici di una vita o semplici conoscenti ha invece riportato tutti all’atmosfera triste e disperata che accomuna questi momenti. Torce, sciarpe e bandiere hanno così accompagnato lo storico sostenitore aquilotto, scomparso lunedì pomeriggio, dal piazzale del circolo Arci fino alla vicina chiesa dove diverse generazioni di ultras della Curva Ferrovia si sono strette attorno ai suoi parenti per cercare di alleviare un dolore che ha però riguardato tutti, in particolare i compagni di tanti episodi vissuti in lungo e in largo per la Penisola al seguito della maglia bianca.Momenti spesso tragicomici, talvolta pericolosi, dei quali si ricordano anche i dettagli più insignificanti e che fanno parte di un bagaglio di esperienze personali condivisibili solo con chi ti sei ritrovato a fianco a San Siro come ad Acireale. Pezzi di vita nei quali il calcio assume un ruolo quasi marginale come alcuni dei suoi interpreti che in una mattinata come questa avrebbero potuto apprendere sfumature emozionali molto significative sul proprio mestiere, toccando con mano gli aspetti più genuini della passione e dell’amicizia. Valori che hanno accomunato i tantissimi presenti che hanno dedicato al loro “Cali” lacrime sincere, rompendo un silenzio rispettosissimo solo per scandire il suo nome che presto tornerà a girare l’Italia su un drappo con i colori di una vita. (09/10/14)

(pubblicati su Cittadellaspezia)

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Il sogno di un popolo e il ragazzo che lo ha realizzato

di Benedetto Marchese

(pubblicato su Cittadellaspezia il 15/06/2010)

Chiunque abbia perso almeno una volta la voce per sostenere lo Spezia dalla Curva Ferrovia ha sognato in chissà quante occasioni di correre fino a pochi centimetri dalla balaustra ed esultare per un gol. Guardare negli occhi i compagni di tante giornate passate a soffrire per la maglia bianca, di trasferte interminabili in giro per l’Italia; gli amici dei quali negli anni hai imparato a capire tensione, preoccupazione oppure entusiasmo attraverso uno sguardo o una parola. Corsa per un gol contro un’avversaria particolare o in una partita decisiva, prodezza da condividere con chi hai visto piangere per la delusione e gioire come nessun altro, chi ti ha regalato abbracci e momenti resi unici da un legame che va oltre la passione calcistica. Quel sogno, diventato quasi ossessione nella lunghissima vigilia iniziata dopo Legnano-Spezia, lo ha realizzato Alessandro Cesarini passato dai gradoni della curva all’erba del Picco senza perdere l’orgoglio ed il coraggio di chi a quella maglia ha dato e darà sempre tutto. La sua corsa da una parte all’altra del campo è stata quella di ognuno dei suoi tifosi, quelli che ha visto scaraventarsi dall’altro verso il basso man mano che si avvicinava al cuore del popolo spezzino. Ha urlato con loro, ha liberato la gioia per una doppietta impossibile da dimenticare per bellezza ed importanza; con due giocate da campione ha frantumato l’incubo dei play-off riscrivendo la propria storia e quella di una squadra che in due anni ha scalato le pareti dell’Inferno per tornare dove le compete. Tutto in dieci minuti, quando il tenace Legnano stava iniziando ad accarezzare il sogno dell’impresa e lo Spezia non riusciva a trovare la via del gol che avrebbe riacceso lo stadio. Fino al ventiquattresimo della ripresa infatti il Picco aveva vissuto la partita nella morsa della tensione, senza riuscire a fornire il proprio insostituibile contributo, fino a quando il ragazzo con la numero nove ha disegnato la palombella al centro dell’area dove Herzan ha trovato il fallo da rigore. Con l’incoscienza dell’età e la voglia di mettere il proprio nome su una giornata storica Alessandro Cesarini si è preso un pallone abbandonato da tutti e lo ha calciato, dopo una lunghissima attesa e con un po’ di fortuna, alle spalle di Furlan prima di lanciarsi nella prima folle corsa verso i propri tifosi, con il sottofondo di un urlo liberatorio che ha abbondantemente superato i confini del vecchio stadio. Eccolo lì il sogno che diventa realtà mentre l’eroe dei play-off si gode la sua prodezza e tu cerchi di conservare equilibrio e salute in una curva che sbanda di gioia. Anche gli ospiti capiscono che non è tempo per beffe ed amare sorprese, Legnano non sarà mai come Trieste, Como o Vico Equense, questo Spezia ha troppi conti in sospeso per cedere sul più bello. Questa gente deve dimenticare un fallimento, le trasferte improbabili della serie D e le difficoltà della Prima Divisione; questa gente ha una squadra ed un ragazzo che giocano con il cuore e merita tutto quello che novanta minuti, e non di più, possono regalare. Una perla ad esempio, come quella che s’inventa solo dieci minuti dopo ancora lui, ancora Alessandro Cesarini: esterno destro di prima intenzione, palla sul palo e poi in rete, come all’andata con Furlan spettatore immobile. La corsa questa volta è sfrenata, incontenibile come la gioia che in pochi secondi ti fa sentire finalmente lontano da tutto quello che hai vissuto fino a poche settimane fa, dilata le emozioni ed i minuti che non passano mai anche se la fine dell’incubo è ormai vicinissima. La vedi lasciandoti alle spalle Giaveno, Noceto e Ciriè, le amichevoli al Tanca e a Pietrasanta i “campi sportivi” e l’indifferenza della gente. Alla fine dell’incubo c’è la gente che in queste due stagioni è sempre rimasta al proprio posto sotto il sole o la pioggia, è lì e finalmente festeggia con gli eroi di questo Spezia: Lazzaro, Enow e tutti gli altri, compreso il ragazzo che continuerà a correre ancora a lungo sotto la sua Ferrovia.

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